domenica 9 settembre 2018

Quattro mesi in Romania a contatto con ragazzi svantaggiati.


La squdra
Craiova non Cracovia…e sì, si trova in Romania non in Polonia.
Ci è voluto un po’ per far capire ad amici e genitori dove sarei andato a spendere i miei successivi quattro mesi, estivi, da maggio a settembre.
Venivo da un’esperienza in Turchia, sempre di Volontariato Europeo, che mi aveva lasciato un ricordo fortissimo, cambiandomi e aprendomi a nuove esperienze, e i mesi invernali trascorsi a Torino erano stati tutt’altro che memorabili: poche idee e confuse sul mio futuro e di lavoro nemmeno l’ombra.

Cos’è un Evs e qual è il trattamento -economico e non- che viene riservato a un volontario l’ho già raccontato nel precedente post: stavolta scelgo la Romania, ma forse sarebbe più corretto dire che è lei a scegliere me. Infatti mi candido contemporaneamente per 3-4 progetti sparsi in giro per l’Europa, gli unici requisiti a cui do retta è che ci sia da lavorare in gruppo -molto meglio condividere l’esperienza con qualcun altro- e che duri non più di 6 mesi, termine oltre il quale inizierei a soffrire la lontananza.
Vengo richiamato solo da Roxana, la mentore dell’associazione Cres che, svolto un rapidissimo colloquio via Skype, mi annuncia d’esser stato selezionato: sono il fortunato vincitore di un soggiorno di quattro mesi a Craiova, a sud della Romania, in cui dovrò lavorare all’interno di scuole con ragazzi disabili e svantaggiati socialmente.
L’inizio del progetto, a causa della carenza di partecipanti, slitta di un paio di settimane: in teoria saremmo dovuti essere otto, ma tra rinunce all’ultimo e mancanze di candidature, ci troviamo solo in cinque: tre italiani e due spagnoli.

Arrivo con un volo Wizzair nel minuscolo aeroporto cittadino nel tardo pomeriggio e faccio la conoscenza immediata degli altri due italiani, Ilaria e Valentino, pugliese la prima lucano il secondo, entrambi trapiantati a Roma.

Vengo accompagnato in un bell’appartamento a 15 minuti di camminata dal Centro: lo stile del quartiere ricorda quello sovietico fatto di casermoni divisi in blocchi, ma quello che mi stupisce di più è la presenza di verde. Alberi e vegetazione combattono una silenziosa e quotidiana battaglia contro le colate di cemento che occupano il resto.
L’appartamento dicevo, spazioso e ben rifornito, lo divido con un ragazzo italiano impegnato in un altro progetto (della stessa organizzazione) e Teresa, la spagnola che fa parte del mio gruppo. Nella mia stanza non manca nulla, scrivania e balcone con vista casermone inclusi.

I primi giorni sono i più duri: la mente continua a riportarmi all’esperienza turca e il paragone è impietoso. Atmosfera, gruppo, progetto, sensazioni, tutto mi sembra peggio: è un continuo rigurgito di emozioni e ricordi vissuti, uno stato d’animo che non pensavo di poter vivere con questa intensità.
Anche la città mi pare nulla di speciale: si salvano due parchi (il Giardino Botanico e il Parco Romanescu) e il Centro, tanto piccolo quanto ben curato. Per il resto Craiova, 300’000 abitanti, si snoda su un lunghissimo corso, Calea Bucuresti, attraversato dal lentissimo (e bollente d’agosto) tram, e una ripetizione di quartieri tutti simili tra loro.
I profili esotici delle moschee e i tramonti sul mar Mediterraneo sono sostituiti da muri scrostati e vecchie Dacia che corrono impazzite per le vie cittadine: un’Italia quarant’anni indietro senza la sua storia, arte e cibo, questo sarà il mio pensiero, un po’ cinico, soffermandomi a riflettere sulla Romania.
Avrò modo di ricedermi, parzialmente, visitando la Transilvania e altre città a nord.

Foto di gruppo con i ragazzi!
Il progetto.
Come ci spiega il responsabile dell’organizzazione, Radu, un ricercatore universitario di poco più di trent’anni un po’ visionario e decisamente bonaccione, noi siamo la prima parte di un progetto più esteso che si articolerà in tre fasi: il nostro obiettivo sarà quello di creare la metodologia, una sorta di relazione in cui per prima cosa dobbiamo descrivere le attività da proporre ai vari ragazzi tenendo conto delle disabilità/svantaggi economici cui sono afflitti, ma in cui dovremmo inserire anche tutte le nostre conclusioni relative al lavoro in gruppo, ai valori che dovrebbe possedere un volontario, toccando a tutto tondo l’esperienza che andremo a vivere.
Chi verrà dopo, i volontari della seconda e terza fase, avranno il compito di implementare le attività e migliorare (o eventualmente correggere) quanto da noi scritto.
Nelle scuole, ci viene detto, dobbiamo giusto testare le attività, senza migliorarle cercando di renderle perfette: a quello ci penseranno gli altri.
Le attività, inoltre, devono rispettare quattro argomenti di riferimento: Salute e sport, Multiculturalismo, Inclusione sociale e Creatività/self expression.


Sulla carta un progetto molto impegnativo, non fosse che, dopo un paio di settimane in cui effettivamente collaboriamo con tre istituiti di cui due con ragazzi disabili, ci viene comunicato che proprio questi due saranno chiusi per l’estate.
Radu ci tranquillizza dicendo che ne contatteranno altri, e questo sarà il leitmotiv di tutti i quattro mesi: “abbiamo scritto a tal Preside, ora aspettiamo la risposta”. Che puntualmente non arrivava.
Quindi di tre scuole originarie ci troviamo a collaborare giusto con una, due giorni a settimana un ora e mezza per volta: un po’ pochino, anche perché i ragazzi di questa scuola, con un età che va dai 5 ai 14 anni, sono svantaggiati economicamente ma privi di disabilità, il che renderà la scrittura della metodologia un compito leggermente astratto.

Per quanto il gruppo viva momenti di alti e bassi, dovuti al carattere veramente differente di ciascuno di noi, riusciamo a disegnare attività molto interessanti: le maestre ci diranno alla fine d’essere stato il miglior team di volontari mai avuto, e che si tratti di una frase di circostanza o c’è del vero, fa comunque piacere sentirselo dire.
Grazie all’estro della ragazza italiana, un'artista veramente in gamba con i disegni, e la buona volontà degli altri, riusciamo a costruire via via mondi immaginari in cui sviluppare le nostre attività coinvolgendo a pieno i beneficiari: una volta usiamo le carte di Prop per fargli scrivere delle storie che interpreteranno a loro volta con uno spettacolo teatrale, un'altra ci ispiriamo ad artisti italiani, rumeni e spagnoli per fargli creare sculture in pongo e disegni, altre volte ricorriamo a giochi all’aperto, chiamati energeezer, per tenerli sull’attenti e fare in modo non si annoino troppo in classe.
Il risultato con i ragazzi sarà molto positivo, e anch’io che ero partito pieno di timidezza e con la convinzione d’avere il cuore troppo freddo per imbastire un legame con dei bambini riuscirò a sconfiggere le mie paure e nei mesi che seguiranno sarà un severo giudice di X-factor, un buffone di corte, il pagliaccio in un circo e, in ultimo, il capitano di una ciurma di pirati finita in disgrazia.

Tutto bene, quindi? Non proprio perché, come detto, tolte queste tre ore settimanali, a cui vanno aggiunte quelle per la programmazione (descrizione nei minimi dettagli delle attività con le divisioni dei ruoli e degli obiettivi prefissi, reperimento materiali,ecc) e altre per i feedback, resta comunque una montagna di ore in cui si ha poco da fare.
Certo, c’è la lezione di rumeno settimanale e il menthoring*, ma a volte pare si esageri con i team building**, le valutazioni, le prove di compilazione dello youthpass***, le registrazioni video in cui commentiamo le valutazioni, le valutazioni in cui commentiamo le registrazioni video in cui commentiamo le valutazioni, e così via.
Uno potrebbe pensare “meglio così! …Avrai un sacco di tempo libero”: ma proprio questo è il problema! La città, conosciuto il Centro e quei due locali in cui iniziano e finiscono le nostre serate, inizia a starci stretta, le conoscenze sono limitate e un senso di noia/torpore generale inizia ad avvolgere il gruppo: siamo a luglio/agosto, gli amici e le classiche vacanze italiane sono lontanissime, così come il mare che per arrivarci devi prendere il treno e sottoporti a sei ore d’inferno.  
Inoltre il gruppo non riesce ad amalgamarsi a pieno: come scritto sopra, le personalità sono diverse e a volte troppo forti, e ciò fa si che, di fatto, la nostra frequentazione si esaurirà in classe o tra le pareti dell’ufficio: le uscite tutti insieme saranno limitate e decresceranno ulteriormente col passare del tempo.
Peccato.


Vorrei aprire una mezza parentesi anche sui weekend: questi generalmente sono liberi e considerando che si hanno due giorni di ferie al mese si possono organizzare interessanti escursioni. Durante questo periodo, in compagnia ma principalmente da solo, ho visitato Timisoara, Drobeta, Cluj, Sighisoara, Sibiu e Deva. E' durante queste fughe che si scopre l'essenza di quella che fu la Dacia, fatta di castelli medievali, fiumi, Carpazi, il maestoso Danubio che taglia tutto il Paese e tanta natura da riempirci gli occhi; la Regione della Transilvania è un gioiello ingiustamente oscurato dalla presenza di Dracula, gallina d'oro su cui marcia il business dei commercianti locali.
Ci sono un paio di cose che però limitano il viaggio del volontario in Romania: i soldi (si percepisce un pocket money misero, buono giusto per qualche birra la sera), e i mezzi di trasporto, tanto economici quanto osceni.
Potrei scrivere un libro sui treni rumeni e sul disagio provato lassù, mi basta dire che, una volta vissuta questa esperienza, tornerò a considerare Trenitalia un eccellenza nostrana.


Piacevole intermezzo del mio soggiorno rumeno fu la settimana di On Arrival Training, periodo in cui vengono ospitati in un albergo a Bucarest i nuovi volontari presenti nell’intero Paese.
Una bella occasione per conoscere moltissimi ragazzi provenienti da tutta Europa, stringere contatti, amicizie, scambiarsi impressioni, organizzare belle serate, magari sbronzarsi e, perché no, innamorarsi.
I cinque giorni lì spesi sono un concentrato di attività, formazione, riflessioni, pensieri e condivisioni tenute da due bravissime trainers: per me questo è stato il periodo più entusiasmante di tutto l’Evs per distacco.
E poco male se l’albergo verrà rinominato dagli ingrati volontari “chicken hotel” per la predisposizione a offrirci pollo (e patate) a pranzo e a cena…siamo ospiti, non paghiamo nulla, lamentarsi è un crimine contro il buon senso!
La settimana di OAT!

Tirando le somme, sono stati quattro mesi interessanti, intensi sicuramente meno esaltanti della precedente esperienza: stavolta non è andato tutto liscio, ci sono stati intoppi, problemi, noia, stress e più di qualche incomprensione all’interno del gruppo.
Però sono soddisfatto: le storie belle ti lasciano con gli occhi sognanti ma insegnano poco, mentre qui, oltre all’inglese (sarò in grado di parlarlo finalmente in maniera decente?), credo di essere cresciuto molto dal punto di vista caratteriale.
Ancora una volta sarà il tempo a confermare o smentire queste sensazioni, dopotutto sto scrivendo ancora dalla mia camera con scrivania di Craiova.
Domani si torna in Italia e tempo per digerire e valutare quest’ennesimo passo della mia vita non mancherà.




Per alcune considerazioni sulla Romania: ne avevo scritto un pezzo qui.


*riunioni settimanali con i nostri mentor, responsabili, in cui si fa il punto della situazione e si cercano soluzioni a eventuali problemi
**sorta di giochi finalizzati alla costruzione della squadra
***documento in cui descrivi quanto appreso durante la tua esperienza, ma che senso ha iniziarlo a metà di essa? E comunque si tratta di 3-4 pagine, non di più.

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