"Le persone non fanno viaggi, sono i viaggi che fanno le persone" J.Steinbeck

giovedì 2 maggio 2019

Camargue e Provenza in bici. Più o meno.


Il piano è stato stravolto lungo l’autostrada che corre sulla Costa Azzurra.
Era da ventiquattrore che pioveva a dirotto e ci siamo arresi all’evidenza che avrebbe continuato così anche nei successivi due giorni.
La solita sfiga pasquale. Peccato.
L’itinerario era stato pianificato per scorrazzare tutti e cinque i giorni in bicicletta lungo le strade paludose delle Camargue e i campi di girasoli tanto cari a Van Gogh.
Ci eravamo persino ingegnati nel caricare le bici sulla Pandina.
C’est la vie.
La pioggia non accenna a cessare nemmeno in prossimità dell’uscita per Avignone, prima tappa della nostra sortita francese.
Giriamo per un paio d’ore sotto il diluvio, la bellezza delle stradine acciottolate e medievali del centro storico vengono un po’ offuscate da tanta acqua, quindi cerchiamo riparo nel mercato coperto della città, e poi entriamo nel Palazzo dei Papi, eccezionale costruzione gotica che ha ospitato per quasi settant'anni cinque papi nel XIV secolo. L’ingresso, integrato con l’accesso al Pont du Avignon, altro luogo simbolo della città francese, costa 13,5 euro, ed è meglio acquistare il ticket dal sito considerata l’enorme coda che caratterizza l’accesso.


La visita dura circa due ore ed è arricchita da una specie di tablet che permette di gustarsi il tour come fossimo all’interno di un videogioco, con percorsi, descrizioni e ricostruzioni del periodo. Veramente coinvolgente!
Usciti dal Palazzo dei Papi è il turno del ponte mozzo (così da noi ribattezzato, ndr) e della città vecchia, posta su un promontorio da cui si ha un panorama incantevole.
Mangiamo una crepes alla crema e, dopo un veloce passaggio vicino alla torre dell’orologio, recuperiamo la macchina e puntiamo verso Arles, dove ho prenotato una casetta tramite Airbnb a pochi chilometri dal centro città.

La casa appunto. Ci mettiamo un po’ trovarla, a causa delle bizze del mio navigatore e al fatto che si trova all’interno di un residence tra Arles e l’inizio delle Camargue, cosa a me sconosciuta. Ma è comunque un bel perdersi nella campagna provenzale.
L’abitazione da direttamente su un prato attraversato da un fiume, e poi ancora una distesa verde. Centinaia di metri di verde, boschi e prati. Perlopiù bagnati.
Lo spettacolo è notevole, non fosse che la pioggia continua a scendere a secchiate.

Giorno 2
La sera prima però abbiamo un sussulto d’orgoglio. 
L’indomani non dovrebbe piovere, nonostante resti coperto: decidiamo di sfidare la sorte, mettendoci in sella alle bici e provando a penetrare le Camargue.
Proveremo a entrare nel braccio meno noto, quello che va da Arles a Port Saint Louis du Rhone, e relative saline.
Muniti di kway, prendiamo la provinciale d35 e ci avviamo: la partenza è fissata per le 9, e ci aspettano 40 chilometri per arrivare alla meta.
A parte un breve tratto sullo sterrato, tutto il percorso si snoda su una strada in cemento poco trafficata. Come detto, si tratta del ramo meno turistico delle Camargue, ed è la mattina di un mercoledì feriale in Francia: tuttavia le folate di vento che, impetuose, spirano dal mare alla terraferma renderanno questi 40 km estremamente difficoltosi, e i paesini segnati sulla cartina si rivelano come semplici agglomerati di abitazioni, poche e prive di negozi.
Lo spettacolo è garantito dalle tante tonalità di verde, dagli acquitrini, dal Rodano, così spesso e agitato che a volte pare il mare, dalle piccole costruzioni nella brughiera e dall’assenza di tracce umane per lunghi chilometri.
I fenicotteri sono lontani e protetti, così come i cavalli bianchi e i tori.
Verso l’una arriviamo a Salin de Giraud, il paese delle saline, e siamo tutti d’accordo sull’evitare di spingerci fino a Port Saint Louis, affacciato sul mare: mancherebbero ancora una dozzina di km, che non sono molti, ma sotto quelle folate di vento risulta difficile persino camminare. Compiamo un mezzo giro del paese, ordinato e piacevole, mangiamo una baguette a fianco dell’arena dei tori, paghiamo eccessivamente un caffè troppo lungo e chiediamo qualche informazione nel delizioso ufficio turistico della cittadina.
Le saline sono rosse e vaste, ce le godiamo salendo su un promontorio a due chilometri da Port Saint Louis. Foto di rito. Poi attraversiamo il Rodano con una chiatta di servizio(gratuita) e imbocchiamo la Via Rhona, ciclovia comoda e ben tenuta ( l’inizio lo si nota da 23 imponenti pale eoliche), che ci trascina, complice anche il vento a favore, fino ad Arles.
Prima di giungere a casa ci fermiamo a vedere il celebre ponte di Van Gogh, ripreso in uno dei suoi quadri e situato a una manciata di chilometri dalla città francese dove lo stesso artista olandese trascorse gli ultimi due anni di vita. Nonostante l’assenza di opere custodite nei musei locali , si dice che Van Gogh qui abbia vissuto il periodo più fecondo della sua carriera e in tutta la regione ci sono continui riferimenti allo stesso.
Per la serata avevamo progettato un giretto ad Arles, ma i cento chilometri fatti in bici, di cui la metà contro vento, ci vedono particolarmente provati. 
Finiamo a letto prestissimo, dentro la nostra confortevole casetta ai margini delle Camargue.

Giorno 3.
Dannazione, piove anche oggi!
Che poi tanto dannazione non è, visto che siamo ancora stanchi dalla faticaccia del giorno prima: senza grande tristezza optiamo per la macchina con l'obiettivo di vedere un po’ di meraviglie provenzali.
Partiamo con Nimes, a 40 minuti di distanza, e la relativa Arena. Con 12.5 Euro si compra il biglietto di ingresso con cui si può accedere anche alla Maison Carree e alla Tour Magne.
L’arena romanica si presenta perfettamente conservata, e un audio guida rende la visita particolarmente ricca di dettagli.
A qualche centinaio di metri è situato il tempio romano Maison Carree che, sorprendentemente, non si visita ma al cui interno si assiste a una proiezione di mezzora sulla nascita della città.
Carino ma nulla di più.
Poi si sale un po’ lungo le vie cittadine raggiungendo la Tour Magne, torretta che sovrasta la città, un tempo parzialmente distrutta dalle profezie d Nostradamus. Lo spettacolo è parzialmente rovinato dalla pioggia ed il cielo coperto, e anche il giardino botanico che si apre sotto la torretta dà l’impressione di essere molto più bello durante una giornata di sole.
Giriamo un po’ per il centro storico alla ricerca di una bella Boulangerie con cui riempirci lo stomaco: alla fine optiamo per un Carrefour, meno tipico ma più economico e, consumato il pranzo su una panchina della stazione, puntiamo il Point du Gard sito a 23 km di distanza. (inizio spazio cultura) Il Point du Gard è un ponte romano che attraversa il fiume Gardon, e fa parte di un ampio acquedotto che garantiva acqua alla città di Nimes. Costruito su tre livelli di arcate, è lungo 275 metri e alto quasi 50 (fine spazio cultura).

L’ingresso costa 9.5 Euro, parcheggio incluso, e subito ci viene detto che per la giornata le visite guidate sono finite. Poco male, ci perdiamo nel letto del fiume, dove non scorre acqua, e ammiriamo la costruzione in tutte le sue angolature.
E’ decisamente monumentale, e risulta impossibile non restare impressionati. Si aprono vari sentieri sui colli adiacenti in modo da osservare la struttura da vari punti di vista, oltre a perdersi un po’ nella macchia mediterranea. Finiamo con l’attraversare il ponte e visitare il museo relativo: bello e interattivo, riusciamo a capire qualcosa in più circa quest’enorme e complessa opera ingegneristica.
Dopo la consueta foto di rito,  è il turno di Arles, dove abbiamo intenzione di fare un mezzo giro: con il fatto che abbiamo casa lì vicino c’è il rischio di rimandare all’infinito la visita della città.
Sarà che siamo stanchi sarà il tempo plumbeo, ma la città ci appare piuttosto trascurata, con le sue costruzioni color ocra che riprendono le tonalità dell’ anfiteatro romano , cuore di Arles. Decidiamo di non entrare poiché riteniamo sufficienti i soldi spesi per l’Arena di Nimes e il Pont du Gard.
Ci gustiamo un pastis sulla piazza centrale (continua a non piacermi questa bevanda cara ai francesi), accompagnato da olive e noccioline.
A due passi dall’anfiteatro c’è anche il piccolo teatro romano, e, sempre nei paraggi la bella cattedrale cittadina.
A place du forum è situato il celebre caffè Van Gogh, immortalato dallo stesso in un quadro e sede di una presunta litigata con l’amico Gauguin. Giallo e ben sponsorizzato dalle guide locali, presenta prezzi decisamente elevati. Una foto può bastare.
 
Giorno 4

Questo giorno lo dedichiamo al secondo ramo delle Camargue, quello più “commerciale” che ci porterà dritti a Saintes Marie de la Mer, città più importante della riserva naturale.
Il vento e la pioggia sono stati sostituiti da un pallido sole, e maciniamo chilometri senza patemi. Se non fosse che due delle tre bici presentano qualche difetto: una ha la ruota leggermente deformata a causa di uno scossone preso quando era sul portabici durante il viaggio d’andata, mentre l’altra ha il cambio inceppato. La fortuna è che tutto il tragitto è pianeggiante.
Superiamo il parco ornitologico senza fermarci (ma vista la mole di persone in coda consiglierei l’entrata), e arriviamo alla capitale delle Camargue verso le undici, due ore e mezza dopo la partenza.
Lì veniamo colpiti da quanti italiani sono presenti e, in generale, quanto sia turistica!
Stradine gremite di negozietti, localini dove si può mangiare di tutto, scolaresche in gita, la chiesa centrale, fortificata, sul cui tetto si può salire previo pagamento di 3 euro, e l’immancabile arena dove ai tori viene sfilato un cordino piuttosto che esser brutalmente uccisi come avviene in Spagna.
Dopo un rapido giro sul molo, inforchiamo nuovamente le bici e costeggiamo la diga che dalla città, per 12 km, si sviluppa in un incantevole scenario fatto, sulla destra di mare e sulla sinistra di Rodano, paludi fenicotteri e cavalli. C’è un bel via vai di turisti, e le spiagge che si susseguono sono lunghissime distese di sabbia.
Si arriva con un po’ di difficoltà, a causa della sabbia, al faro (Lighthouse Gocholle) in cui ci sono tavolini e delle stanze illustrative del Parco Naturale.
Lì pranziamo, e, rapidamente, ci mettiamo in marcia per rientrare. Abbiamo i 12 km della diga da fare, più un’altra quarantina fino ad Arles.
Nonostante ci sia un accenno di pista ciclabile, la strada non è fluida come quella di mercoledì, presenta qualche pezzo di sterrato e, complici i tanti km nelle gambe e le bici sempre più a pezzi, fatichiamo non poco ad arrivare a casa.
Non prima, però, di una ricca spesa al Casinò (supermercato francese) in cui acquistiamo vino provenzale, paella surgelata e una viennetta.



L’Ultimo giorno.
E’ tempo di salutare quella che è stata la nostra comoda e accessoriatissima casetta, lasciamo le chiavi al proprietario dell’Airbnb, montiamo le bici sul portabici e ci dirigiamo verso due mete che, in teoria avremmo dovuto visitare il primo giorno ma, visto il tempo, abbiamo deciso di tenere per ultime.
La prima è Les Baux de Provence, nel cuore del parco Les Alpilles.
Si tratta di una cittadella abbarbicata su un monte, estremamente caratteristica e turistica, sovrastata da un castello da cui si ha una vista mozzafiato.
Consiglio a tutti di perdere un paio d’ore tra i vicoli di questa perla della Provenza.
Sempre nel parco Les Alpilles ci sono vari resti romani e un’altra città, Saint Remy de Provence, che abbiamo evitato per la mancanza di tempo.
Dopo un frugale pranzo abbiamo virato verso Gordes, a un ora di macchina.
Già il punto panoramico dirimpetto alla cittadina vale i chilometri percorsi. Prima di raggiungere il cuore del paese decidiamo di puntare l’abbazia di Senanque, a 2 km di distanza, forse attratti dalle foto sulle cartoline che la ritraggono immersa nel viola della lavanda. E’ fine aprile, e la lavanda ancora non è fiorita. Per cui niente viola e niente magia. Pazienza, la camminata è comunque molto suggestiva.
Volendo si può prenotare una visita dentro l’abbazia , costa 7.5 euro e dura un’ora, ma sempre per questioni di tempo, decliniamo l’offerta
Sono le cinque quando rientriamo a Gordes, il paese all’interno è piuttosto piccolo e non presenta attrazioni tali per cui ci sia molto tempo da spendere.
Certo, c’è il solito castellino, ma non ci attrae granché, ed è comunque chiuso vista l’ora.
E poi inizia a piovere. E poi dobbiamo affrontare un viaggio di 5 ore.
Per rientrare cambiamo strada passando per Briancon e il Monginevro. Nella città francese consumiamo l’ultima cena di questa minivacanza, un poco caratteristico panino da Mc Donalds. 
Due ore dopo giungiamo a Torino.



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