venerdì 3 maggio 2024

Ancora Canarie: Tenerife e la Gomera

Dopo l’assaggio fatto l’estate scorsa, in compagnia delle rispettive ragazze, io e mio fratello ci siamo accorti che il boccone ci era piaciuto: le Canarie erano state promosse.  Forse era stato il clima esotico, la flora unica, o lo spirito d’avventura che si respira per le strade impolverate, fatto sta che questo arcipelago spagnolo situato nell’Oceano Atlantico, a pochi chilometri dalle coste marocchine, aveva catturato la nostra attenzione, e meritava un approfondimento. Una settimana di inizio primavera poteva essere ben spesa a tal riguardo!

Questa volta salto a piè pari l’introduzione sulle Canarie, che potete recuperare nel post precedente, e parto con il presentare i personaggi protagonisti della spedizione: mia mamma, pensionata con alle spalle una carriera da prof, amante dei bagni fuori stagione e dell’improvvisazione; mio fratello, scrupoloso programmatore con l’attitudine al comando ed un feticcio per il trekking ed io, che provo a fare da equilibrista tra questi due mondi apparentemente inconciliabili.

A unirci la curiosità, l’interesse per la natura e la vocazione al risparmio.

Come accennato in precedenza, dopo aver trascorso la scorsa estate tra Lanzarote, Fuerteventura e Gran Canaria, questa volta puntiamo al bersaglio grosso, Tenerife, l’isola più grande e popolosa dell’arcipelago, conosciuta per la fiesta, le discoteche, e i locali esclusivi. Tutte cose da cui ci terremo ben alla larga!

L’obiettivo è quello di visitare le bellezze naturali del posto, in primis il vulcano Teide, camminare per i paesini sparpagliati tra le vallate, e farsi la prima nuotata della stagione. 

In mezzo ci sarà spazio anche per una giornata a La Gomera, penultima delle sette isole per dimensioni e numero di abitanti.


L’isola dell’Eterna Primavera, com’è conosciuta Tenerife a causa del suo clima fresco e  soleggiato tutto l’anno, se guardata sulla cartina sembra un triangolo leggermente storto, con il vertice meridionale brulicante di cittadine costruite a misura di turista, spiagge super attrezzate e frotte di nordici sbevazzoni ricoperti di crema solare a protezione totale. Allontanandosi da queste località, e spostandosi a verso gli altri angoli, si va incontro a una vegetazione molto rigogliosa, con cittadine meno curate ma decisamente più autentiche.

Non voglio però anticipare troppo; infatti il nostro viaggio parte proprio da Sud, dove è situato uno dei due aeroporti dell’isola, dove un volo Ryanair, dopo quattro ore di volo, ci scarica.
Ah, prima di partire con il racconto del viaggio occorre annotare che all’aeroporto di Bergamo gli addetti all’imbarco ci hanno cassato la valigia perché troppo grossa (prima e unica volta!), e, per evitare di pagare il surplus abbiamo caricato negli zaini il resto del contenuto presente nella valigia, abbandonata tristemente all’aeroporto di BG.

Al di là di questo episodio, che mi ha visto come unico responsabile, torniamo con il racconto a Tenerife: subito ci lanciamo verso lo sportello di Cicar, dove ci viene affidata una comodissima Opel Corsa. Neanche il tempo di sfilarci i pesanti maglioni di dosso e puntare il navigatore verso est che ci fermiamo per la prima tappa: si tratta del Sanatorio di Abades.

Questo lazzaretto, costruito negli anni ‘40 per volontà di Franco con lo scopo di isolare i malati del posto, non venne di fatto mai utilizzato, ma conserva il fascino spettrale dei luoghi abbandonati. Trentasei edifici, tra cui una chiesa, imbrattati da scritte e spesso usati come orinatoi, si stagliano su una piana che affaccia direttamente sul mare. Praticamente un paradiso per gli aspiranti influencer.
Due guardie ci dicono di cambiare giro, ma sono ammonimenti vani, perlopiù ignorati dai vari turisti richiamati da quello spettacolo particolare.
Il tempo di un paio di foto, e saltiamo nuovamente in macchina: una veloce tappa all’arco di Taijo, un salto all’iconico market SuperDino dove acquistiamo qualche schifezza da mettere sotto i denti, e siamo subito in spiaggia.
Scegliamo la Playa de la Tejita, il paradiso del surf, che si rivela un po’ meno per noi: con tutto quel vento l’idea di immergerci in acqua non ci sfiora nemmeno. Decidiamo, dunque, di spostarci a Playa Amarilla: mai scelta fu più azzeccata. Riparata e, strategicamente, posizionata tra le rocce, presenta una scaletta grazie alla quale è possibile calarsi direttamente in acqua; le stesse rocce, ocra, creano insenature perfette per rilassarsi. Inoltre, scalare in pochi minuti la montagnola amarilla che sovrasta la spiaggia è un obbligo per gustarsi il panorama dall’alto.

La seconda parte del pomeriggio la trascorriamo tra le luccicanti vie di Los Cristianos, pervase di boutique, negozi e ristorantini. Solchiamo il “miglio d’oro”, via iper turistica lastricata di locali di ogni tipo, addirittura su tre piani: mio fratello dice che gli ricorda Las Vegas, io che non ci sono mai stato penso che mi sono perso poco.

In serata prendiamo possesso dell'appartamento presso l’hotel Paradiso del Sur, a Adeje: si tratta di un enorme plesso turistico con vista mare, nessuno alla reception e con, forse nascosta da qualche parte, una piscina a disposizione (mai vista!).
Ceniamo con una pasta piselli e prosciutto, e l’idea di esserci portati dietro la madre per soddisfare le nostre fantasie mangerecce tramonta ben presto.


Il Sud Ovest

Il secondo giorno è dedicato alla costa sudovest dell’isola: partiamo con una tappa a Los Gigantes, scogliere formate da colate laviche alte centinaia di metri che crollano a picco sul mare. Si osservano magnificamente dalla cittadina di Puerto de Santiago, in cui è presente anche una spiaggetta nera -Playa de Los Guios-, d’estate molto affollata, ma siamo a metà marzo, nove di mattina, per cui ci godiamo lo spettacolo senza un’anima viva in giro.

Sempre a Puerto de Santiago vi è un punto panoramico da cui osservare questi giganti in pietra; una volta sazi di tale visione, saltiamo sulla Corsa e ci dirigiamo verso Masca.
Masca è un paesino situato nell'entroterra dell’isola, conta circa un centinaio di abitanti, ed è incastonato tra le lussureggianti vallate e le profonde gole dell’isola. Un po’ Machu Picchu un po’ Pandora (quella del film di Avatar, dai!), la deviazione per Masca è d’obbligo.
Con un colpo di fortuna inaudito riusciamo a trovare parcheggio, e ci dirigiamo verso l’iconico sperone (basta googlare masca o aprire instagram e digitare masca per capire a cosa mi sto riferendo): da lì dovrebbe partire un sentiero, che, ahinoi, è chiuso durante la settimana, e risulta accessibile solo nei weekend. Faccio finta di essere dispiaciuto, mio fratello lo è realmente, mia mamma compra delle noccioline che registra nella cassa comune. Polemica.
Azzardiamo un sentierino dove scorgiamo un albero carico di avocado. Sempre mia mamma avvia una trattativa per acquistarne cinque: la signora del posto, levigata dalla vita, spunta dieci euro, inserendo un paio di banane e qualche mandarino.  Ristorati dalle cibarie che madre natura ci ha offerto in cambio del vil denaro, procediamo puntando l’estremità ovest dell’isola. Non prima di fermarci al Mirador altos de Baracan, punto panoramico meraviglioso da cui, sferzati dal vento, si osservano alture ricoperte da verdissima vegetazione, e, in fondo, il mare.  Com’è differente quest’isola da Lanzarote e Fuerteventura!

Per arrivare a Punta de Teno, estremità Ovest di Tenerife, bisogna lasciare la macchina una decina di chilometri prima, a bordo strada, di fianco a una schiera di bananeti, e prendere un bus locale che, per un euro, si addentra nel parco seguendo un saliscendi lungo l’impervia strada.

Il paesaggio si trasforma di colpo; secco, lunare, e roccioso. La terra è di colore ocra, e l’unica vegetazione presente è costituita da cactus e i cespugli brulli che spuntano dal terreno. Fa un caldo micidiale.
Un faro, inaccessibile, si prende gli scatti dei turisti che, vagamente sorpresi, si domandano che fare in quel pezzo di terra arida e affascinante. Non ci sono servizi, bar o locali; in una caletta un padre insegna al figlio a pescare, mentre noi ci avventuriamo in un percorso lungo mare. A un certo punto, in lontananza, scorgiamo il bus che passa ogni, e, per paura di perderlo, ci mettiamo a correre lungo questa distesa rocciosa: mia mamma ruzzola a terra, si rialza e, eroicamente, ci assicuriamo i posti per il rientro. L’ultima tappa della giornata è la ridente Garachico, una cittadina nota per le sue piscine naturali. Non facciamo il bagno ma ci godiamo un buon gelato passeggiando tra queste costruzioni artificiali che si sposano perfettamente con lo spettacolo della natura.

24 ore a La Gomera. 

Potrebbe essere benissimo il titolo del prossimo film 007, ma si tratta del programma del terzo giorno in terra canaria.

Ispirati dalla relativa vicinanza e dalla voglia di iscrivere anche quest’isola nella check list “Isole delle Canarie visitate”, decidiamo di trascorrere una giornata a La Gomera.
La frequenza dei Traghetti, operati dalle compagnie “Naviera Armas” e “Fred Olsen” , varia in base alla stagione: a marzo ci sono un paio di corse al giorno, e …non li regalano!

Tre persone con auto costano circa 250 euro, non poco per un trasporto di meno di un’ora!

Comunque sia, il gioco vale la candela! La Gomera è una piccola perla incastonata nell’arcipelago canario, ricca di percorsi nella natura e insenature, conta appena 25.000 abitanti e, dopo El Hierro, per dimensione è la più piccina.

Mirador de Abrante
Attracchiamo in mattinata nella minuscola capitale, San Sebastian de La Gomera, e subito si percepisce una sensazione di calma e relax. Le strade sono sgombre di turisti, e in pochi minuti percorriamo le piccole vie del centro: meritano un’occhiata la Torre del Conde, la casa in cui Colombo ha soggiornato prima di partire per le americhe, la chiesa di Nuestra Senora de la Asuncion. La pratica può chiudersi in un’oretta abbondante.
Anche perché il bello dell’isola sta all’interno, tra le valli rigogliose, i mirador, e le calette sconosciute.
A bordo della Corsa solchiamo strade perfettamente in ordine, ci fermiamo a fare una foto al Mirador de La punta, decidiamo di scartare il Pescante de Hermigua, località marittima relativamente conosciuta, per dirigerci verso Agulo, pittoresco villaggio a nord dell’Isola. Qui ci perdiamo nei suoi cunicoli, tra le voci di una festa patronale in divenire, respirando a pieni polmoni il vento dell’Atlantico; ci concediamo un hamburger accompagnato da una cerveza. Il paesino merita davvero un’occhiata, così come è d’obbligo inerpicarsi con l’automobile fino al Mirador de Abrante, luogo in cui è stata costruita una cabina in vetro sospesa in aria, da cui osservare il profilo del Teide stagliarsi nel blu del cielo. Tutto intorno argilla rossa e mare.
Il tempo stringe, e noi vogliamo almeno toccare con mano il parco più grosso dell’isola, il Parc National de Garajonay, riserva Unesco. Puntiamo spediti verso il centro dell’isola, e, ancora una volta rimaniamo stupiti della vegetazione, così fitta e verdeggiante, tanto differente da quella secca e brulla di Fuerte e Lanza. Posteggiamo l’auto all’imbocco di un sentiero che in meno di un’ora, tra silva e allori, ci porta all’Alto de Garajonay, punto più alto de La Gomera, 1487 metri, in cui la vista è semplicemente fantastica, e spazia a 360 gradi: da qui si possono osservare La Palma, Tenerife e El Hierro che, come creature marine, affiorano dall’acqua. Uno Spettacolo unico.

Gli ultimi colpi della giornata vengono sparati tra le maestose curve della

Valle Gran Rey (foto a lato), al termine delle quali si giunge a una Playa relativamente deludente. Veloce nuotata e poi via, verso Las Hayas, piccolo borgo nel cuore dell’isola, dove ho scovato una pensione che, per soli 36 euro, ci affitta una camera spartana ma pulita. Il luogo è veramente grazioso, immerso in una vegetazione tropicale, e mentre il sole ci saluta regalandoci uno spettacolo più struggente del solito, qualche rimpianto sul non aver pensato di rimanere più giorni a La Gomera ci assale.
La serata è parzialmente rovinata dalla cena, consumata all’interno della locanda adiacente la pensione: non sarebbe nemmeno malvagia, ma il secondo di tonno immerso in una salsa piccante praticamente immangiabile lascia un retrogusto amaro.
Piccolo travel tips: quando cala il buio, allontanarsi dalle principali fonti d’illuminazione e buttare lo sguardo verso il cielo, la visione merita parecchio. Vale per La Gomera, ma non solo.


El Teide

La sveglia suona a un orario improbabile, dalla finestra della camera filtra solo buio pesto, ed il canto di un gallo ci riporta a dove siamo, ossia in un paesino nel cuore del La Gomera: tra un paio di ore abbiamo il traghetto per Tenerife, meglio darsi una mossa.
Oggi la giornata è dedicata al Parco Nazionale del Teide!
Prima di affrontare questa tappa, però, è doveroso fare una premessa: per salire in cima al Teide, vetta più alta di Spagna con i suoi 3718 metri e vulcano più visitato al mondo dietro al solo monte Fuji,  occorre prenotarsi con largo anticipo sul sito ufficiale. La prenotazione è gratuita ma i posti giornalieri a disposizione sono circa duecento, e, inutile dire che quando abbiamo provato a prenotare noi, essi risultavano tutti esauriti.

Senza biglietti per salire in cima, l’ascesa si ferma intorno ai 3500 metri, duecento metri prima della vetta, altezza a cui arriva la funivia (costo di 22 euro a tratta per persona, anch’essa da prenotare); arrivati a tale punto degli addetti alla sicurezza vi diranno no no, no se puede hacer. Inutile girarci intorno, e fare gli italiani, senza prenotazione non si passa.

Detto ciò, il Parco Nazionale del Teide, parco nazionale più visitato d’Europa e uno dei più visitati al mondo, si sviluppa in una superficie di 19000 ettari, ed è possibile fare svariati trekking e attività a contatto con una biosfera unica.  Prima di arrivare alle pendici del Teide, infatti, si sale di quota, e, con l'aumentare dell’altitudine, cambia il paesaggio, da “parco americano” verde e rigoglioso, a panorama vulcanico, ocra e lunare.
Nostra mamma, da professoressa di scienze della terra in quiescenza, ci parla delle rocce vulcaniche, mentre noi scattiamo suggestive foto allo scenario che ci circonda.

Per ciò che riguarda il vulcano, decidiamo salomonicamente, di affrontare la salita con la funivia, per poi scendere a piedi: una soluzione che consigliamo a tutti, in quanto, a meno che una persona non abbia intenzione di trascorrere più giornate in questo parco, il tempo di percorrenza per l’andata e il ritorno a piedi sarebbe troppo lungo, oltre che faticoso nel caso si volessero affrontare altri trekking nel Parco.

Per scendere ci impieghiamo circa quattro ore, sull'unicità dei colori vi risparmio: il sentiero si conclude in una strada che dista circa 4 chilometri da dove abbiamo lasciato l’auto. Mia mamma, in memoria dei tempi andati, fa l’autostop e ci viene a recuperare con la Corsa.
Non sazi, compiamo ancora un trekking (questo qui): un percorso ad anello di circa due ore con vista su La Catedral, formazione rocciosa che dopo un paio di drink potrebbe ricordare il Duomo di Milano. Finita questa ennesima sfacchinata, estremamente suggestiva per carità, alla proposta di mio fratello di fare un altro trekking quasi gli metto le mani al collo, scendiamo a più miti compromessi, e ci visitiamo il resto del parco con il culo comodo sull’auto.

E’ ormai sera quando giungiamo a Mesa del Mar, un'assurda località marina trovata su booking ad un prezzo stracciato nel Nord dell’isola, dove passeremo le ultime tre notti della nostra vacanza. Scrivo assurda perchè si trova al termine di una serie di tornanti, in cui, a parte un paio di palazzoni e qualche ecomostro affacciato su un enorme parcheggio, non c’è assolutamente nulla, e il rumore delle onde che si spaccano sulla scogliera arriva fino all'undicesimo piano, dove alloggiamo noi.

L’appartamento, è bene ripeterlo, si trova all'interno di in un ecomostro in cui sembra non abitare alcuna anima viva, affaccia direttamente sul mare, tanto che è meglio non lasciare i vestiti ad asciugare perché raggiunti dagli schizzi dell’acqua. A completare il quadro, una piscina d’acqua marina costantemente agitata, in cui la mattina un paio di soggetti temerari osano fare sport.


Alcune Istantanee Canarie

El Sauzal
Superate le 24 ore de La Gomera e lo scoglio Teide, c’è bisogno di una giornata defaticante: per oggi scegliamo quindi una serie di brevi tappe nel centro-nord dell’isola : partiamo da El Sauzal, località marittima su cui si estende una scenografica camminata lungomare, tra scogli, insenature e piscine naturali. E’ il turno poi di Orotava, ex capitale dell’Isola, in cui regna un’aria da Centro America (e chi ci è mai stato!?), tra giardini ben curati, palazzi colorati e piazzette vissute: Plaza de La Constitution, Casa de Los Balcones e i giardini Victoria sono le mete più apprezzate dai turisti.
Ci spostiamo poi a Santa Cruz de Tenerife, a pochi chilometri da Orotava: questa località è presa d’assalto dai turisti. Fiumi di persone solcano il lungomare, affollano gelaterie e negozietti turistici, i ristoranti brulicano di inglesi, un tizio canta tutto il repertorio di Toto Cutugno, riscuotendo un discreto successo, Dario riceve un applauso per la maglia del Boca che fieramente indossa da tre giorni, e i buttadentro - viste le nostre condizioni - ci guardano con aria schifata.

Mia mamma, di fronte all’ennesima giornata passata a camminare, sbotta, e si impunta sul fare il bagno. Peccato che il tempo non sia d’accordo.
Prendiamo l’auto e tagliamo orizzontalmente l’isola, nell’unica spiaggia in cui è prevista una temperatura caliente, o quantomeno decente: Playa de Las Teresitas. Trovare parcheggio è un’impresa, ma la spiaggia è vasta e sabbiosa. Ci immergiamo in acqua ma il sole non è che picchi, e il vento la fa da padrona. Mia mamma vede del personale sanitario portare via un cadavere dalla spiaggia. L’esperienza è rovinata, saliamo in macchina con la morte negli occhi al posto della salsedine.

L’ultimo pit stop della giornata viene effettuato nella città di San Cristobal de la Laguna, città patrimonio mondiale dell’Unesco, e probabilmente siamo un po’ stanchini per godercela a pieno. Le vie sono acciottolate e lineari, la cattedrale di San Cristobal imponente, ma il ricordo più intenso che ci porteremo dietro è la processione, cui finiamo in mezzo: fiori, crocifissi, cori, catene, gente incappucciata, baldacchini con statue votive. Insieme a questa danza funebre si conclude la quinta giornata canaria.


Laurisilva 

Se accedete al vostro browser preferito, cliccate su google maps e scrivete Tenerife, ingrandendo l’immagine noterete che il vertice a Nord dell’isola è completamente verde: si tratta del Parco Rural de Anaga, meta dell’ultima giornata completa del nostro viaggio.

Il parco di Anaga consiste in un massiccio di montagne e gole affilate, ricoperte da boschi di laurisilva, foreste sempreverdi presenti solo in pochissime aree del Mondo, caratterizzate da clima caldo e umido.

Il consiglio è quello di impostare il navigatore verso il Centro de Interpretación del Parque Rural de Anaga, farsi dare una cartina del luogo, e scegliere il percorso più adatto.
Noi ci immergiamo in un sentiero verdeggiante e ombroso, pieno di scolaresche intente a studiare la flora, qui unica. Si tratta di un anello breve, quello che parte dal centro visitatori, un paio di ore massimo, però estremamente affascinante.

Terminato il percorso, puntiamo l’ Opel Corsa verso Tananaga, cittadina nel cuore del parco dove consumiamo una caesar salad e scattiamo qualche foto suggestiva: mia mamma dibatte con un’abitante del luogo sul tipo di coltura presente (per i curiosi, la patata americana).

Delle molte spiagge a disposizione scegliamo quella di Benijo, località da cui parte un suggestivo trekking sul mare che si conclude con un villaggio disabitato e una strada interrotta. Però la breve camminata merita, le falesie sono spettacolari, io salvo una farfalla dalla tela di un ragno aprendo discussioni sull’opportunità dell’intervento umano nell’equilibrio della natura, e per festeggiare decidiamo di regalarci un caff…niente, mio fratello le trova tutte per farci saltare ogni azione dispendiosa, scegliendo solo locali già chiusi.

Vista da Benijo
Il resto del pomeriggio lo trascorriamo su una spiaggetta, guardando dei ragazzi domare le onde con le loro tavole, mentre noi di farci il bagno non ci pensiamo proprio. Durante l’ultima cena a Mesa del Mar diamo fondo alla nostra libidine, ingurgitando alette di pollo (strano desiderio di mia mamma) litri di gazpacho (mia voglia) e un chilo di yogurt greco (per il piacere di mio fratello), il tutto condito con abbondante birra al limone, gelato e latte in scadenza. Una delizia.


La Capitale e il rientro

L’ultimo giorno a Tenerife è un lento viaggio verso l’aeroporto del Sud, dove nel tardo pomeriggio prenderemo il volo per Bergamo.
La prima tappa è la capitale dell’isola, Santa Cruz de Tenerife, immeritatamente trascurata dalle principali rotte turistiche, presenta vari spunti interessanti: l’auditorium Martin progettato dall’archistar Calatrava, il Parco Marittimo disegnato da César Manrique, il Castillo de San Juan Bautista, il pittoresco mercato di Nostra Senora de Africa, Plaza de Espana, e, in generale, un vivace centro storico.
Spuntata anche la Capitale, puntiamo l'auto verso sud, a Los Cristianos, località da dove è partito il viaggio, chiudendo questo lungo anello dell’Isola.
Ci buttiamo su una spiaggia attrezzata, mangiando al volo una poke. Sforzandoci, esce un ultimo bagno; anche stavolta siamo soddisfatti del giro compiuto e dell’Isola visitata.
Con queste due siamo a cinque su sette, osservo con mio fratello.
Il prossimo anno completiamo l’arcipelago canario visitando La Palma e El Hierro.
E’ una promessa. Vediamo se tra qualche mese pubblicherò un post a tal proposito.


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