"Le persone non fanno viaggi, sono i viaggi che fanno le persone" J.Steinbeck

martedì 24 settembre 2019

Orgoglio nazionale e birre scure, grandi scrittori e pecore. L’Irlanda.


Galway
Irlanda, non ci sono mai stato ma mi sei sempre piaciuta.
Era un po’ questo il sentimento che provavo per il piccolo paese verde: forse a causa dell’estrema povertà in cui hanno vissuto per secoli, o per il loro spirito ribelle, per i pascoli e gli U2, per aver dato i natali a Joyce e Wilde. Chissà.
Tuttavia questo vuoto andava assolutamente colmato, e complici i voli a prezzi stracciati offerti dalla compagnia, toh’ irlandese gestita da O’Leary, sono partito per sette giorni in solitaria.
Urge fare una premessa: il modo migliore per girare l’Irlanda è senz’altro quello di affittare una macchina per addentrarsi a fondo in ogni anfratto del territorio .
Essendo, tuttavia, solo, decido di muovermi con i bus locali: sia per una questione economica che per sicurezza (che timore quello di guidare a destra)!
Per raggiungere le destinazioni più turistiche mi affiderò ad alcuni tour organizzati in cui, in cambio di un prezzo relativamente basso, viene offerta un' ampia gamma di mete turistiche.
L’aspetto negativo, ovviamente, risulterà essere la gestione del tempo.

Ma andiamo con ordine: arrivo all’aeroporto di Dublino che è l’una di notte.
Un vero viaggiatore che fa del risparmio una ragione di vita (come il sottoscritto) mica va a dormire in ostello, bensì decide di riposarsi qualche ora su una panca degli Arrivi e con le prime luci della mattina prende il primo bus per Galway. Così faccio io.
Nonostante sia fine agosto ci sono almeno dieci gradi in meno che in Italia, fa decisamente freddo, e la pioggia scende incessante.
Il viaggio dura sulle tre ore, uso Bus Eireann - costo16 euro- , e arrivo nella fredda cittadina oceanica su cui spira un vento terribile.
Mi doto di impermeabile e muovo  i primi gelidi passi verso l’ostello, rimpiangendo la banalità di un’estate romagnola. Mi fanno lasciare i bagagli in ostello nonostante sia decisamente presto e ne approfitto per iniziare  fare un giro del centro cittadino; Galway è tutto sommato piccolina, la si gira a piedi, presenta deliziose vie ricolme di pub dall’aspetto invitante. Non è ancora arrivato il momento di sbronzarsi, penso, e vado a fotografare le principali attrazioni cittadine, la basilica della città, l’arco spagnolo, il porto e una specie di castello inglobato tra le costruzioni. Mi concedo anche una breve passeggiata fino a una specie di faro su un’isoletta artificiale. Tutto intorno il verde dei prati e il blu dell’Oceano, sfumati dalla pioggia che continua a battere sulla mia persona.
La sera sono stremato.
il dolmen nel Burren


Il giorno seguente è in programma uno dei tre tour previsti: con 35 euro mi sono assicurato la visita a un castello (il nome si è perso tra i fogli in cui annotavo di tutto), il passaggio nel Burren, la sosta a Doolin e, piatto forte, le Cliff of Moher.
Si parte dalla stazione dei Bus e il viaggio è un continuo brusio da parte della guida che prova in tutti i modi a tenere alto l’umore della truppa con certe battute dal gusto rivedibile.
E’ anche il viaggio della speranza: infatti per godersi appieno la vista delle scogliere è necessario non ci sia la nebbia che occluderebbe gran parte del panorama.
Saremmo fortunati.
La giornata scorre velocemente tra una tappa a un cimitero storico, e i mitici sassi del Burren.
Arriviamo a Doolin e la guida spende circa dieci minuti a elogiare la cucina di un pub che ci consiglia caldamente, io me ne frego e una volta sceso dal bus faccio una passeggiata in solitaria sul crinale di una collina. Un’esperienza magnifica.
Ma la pancia resta dannatamente vuota, penso mentre con il bestione arriviamo sulle scogliere.
Lì ci vengono concesse due ore di tempo per visitarle. Io le percorro, estasiato: lo spettacolo è imponente, voglio una foto con quel panorama mozzafiato dietro. Ne chiedo circa una ventina a persone diverse, nessuno che sia in grado di non metterci un dito sopra, o non sfocarle.
Poi trovo una vecchia che con insospettabile mano ferma adempie al suo lavoro.
Mi godo questa forza della natura inspirando a pieni polmoni, la giornata è fantasticamente soleggiata, poi è ora di tornare.
Nota carina, il castello di cui non mi ricordo il nome e in cui ci eravamo fermati poche ore prima, ora si trova circondato da acqua! L’alta marea ha ricreato una specie di Moint Saint Micheal!
Torno nel mio ostello che nel frattempo si è riempito di indiani, scopro che il Lidl è un bel posto per comprare piatti pronti e birre economiche, e felice della giornata mi appisolo.

Le cliff of Moher

La terza giornata vede la comparsa del secondo tour, quello nel Connemara, il castello di Kylemore, il villaggio di Cong e un'altra abbazia spersa nel verde. Il clima è piovoso, troppa grazia ricevuta il giorno prima, e per questo il viaggio in questo enorme parco nazionale risulterà meno bello di quanto lo sarebbe stato senza tutta quell’acqua. Poi c’è la mia vicina di bus, una tedesca, ma forse austriaca, tanto carina quanto antipatica con cui provo a scambiare qualche parola, ma le mie iniziative vengono spente sul nascere, sguardo dritto e nessun cedimento.
Il Connemara, dunque, è un lago visto dal finestrino. E’ una pecora, degli arbusti, degli alberi, un altro gregge di pecore, sempre visti dal finestrino, e dopo un po’ prendo sonno, perché la voce di questa guida è così musicale, e c’è un tepore niente male, tanto che quando il pullman si ferma a malapena mi tiro sù dal sedile per scattare una foto del solito incantevole scorcio verde.
Arriviamo al castello di Kylemore, gioiello incastrato sulle sponde di un laghetto, e la guida ci vende i biglietti scontati per l’ingresso, io declino l’offerta deciso a sgranchirmi le gambe per il Connemara.
Fanculo i castelli, sono belli da fuori, da dentro tutti uguali …
In pochi minuti mio giro si trasforma in una gara di sopravvivenza, le strade non prevedono il transito di pedoni e me ne devo stare ben schiacciato contro il parapetto per evitare di terminare i miei giorni su un grigio asfalto irlandese. Per fortuna a bordo strada ci sono tanti frutti di bosco, e io mi sfamo un po’ così, un po’ con un’insalatina a base di cipolle che non farà altro che aumentare la distanza tra me e la bella austroungarica. Ci fermiamo ancora al villaggio di Cong, curioso e spettrale, con le sue arcate e costruzioni in pietra, maledizione leggessi qualcosa in più la smetterei di vagare a vuoto chiedendomi continuamente di che civiltà parliamo, e se sono precedenti o meno ai romani.
Mi concedo un caffè americano, confermo il giudizio che avevo, ossia è schifoso ma dannatamente stiloso, sembro un business man mentre cammino con quel bicchierone di carta tra le mani;  effettuiamo l’ultimo stop nei pressi di un’abbazia sventrata del proprio tetto ma estremamente scenografica, in cui mucche e tori pascolano allegramente.
Sono un po’ meno soddisfatto del tour odierno, in un parco di quelle dimensioni sarebbe stato meglio andarci con una propria auto, fermandosi dove si voleva e fotografando ciò che ispirava … ma a ben pensarci, farlo autonomamente sarebbe stato impossibile, quindi va bene così.
La sera prendo un bus per Dublino, è ora di spostarsi verso la capitale: saluto Galway come un regalo non utilizzato a pieno. Maledetta fretta che impone ritmi serrati e visite superficiali.

L’Abbey Court è uno degli ostelli più belli in cui sia stato fin’ora, sul fiume Liffey a poche centinaia di metri da Temple bar e dalle principali attrazioni della città.
Ci arrivo quasi a mezzanotte, dormo qualche ora, e sono pronto per l’ultimo tour, e francamente ne sono contento.  Questi viaggi organizzati iniziano a essere pesanti, e necessito di un po’ di libertà. Tuttavia questa escursione l’avevo trovata a metà prezzo, 17,50 euro, e mi avrebbe dato la possibilità di vedere Glendalough, le montagne di Wicklow e la splendida città di Kilkenny, sede del celebre castello.
La guida è una spagnola che urla al microfono il proprio entusiasmo per il suo lavoro, i resti di Gle..(leggere sopra) sono incantevoli anche perché posti in uno scenario spettrale, tra laghetti e radure.
Nella visita all’antica città è inclusa una dimostrazione canina: un pastore fa vedere come un cane sia in grado di dirigere un gregge: fenomenale! Tutto lo spettacolo mi scade parecchio quando il tizio, finita la dimostrazione, prende una pecora e la fa sedere accanto a sé, invitando gli astanti a farsi un selfie. Una trashata inutile, cui non pochi turisti prendono parte.
Le montagne di Wicklow sono lo scenario che ci si aspetta dall’Irlanda, con cascatelle, varie sfumature di verde e banchi di nebbia, mentre ad accoglierci a Kilkenny c’è un sole palliduccio.
Delle due ore a disposizione ne spendo la metà alla ricerca di un bagno e del cibo, economico. Ripiego sull’Aldi, mi scolo un succo che sa di petrolio e un bombolone alla crema, nel castello non ci entro perché non voglio spendere e per il principio enunciato prima, guardo la splendida cattedrale, le vie principali, colme di negozietti carini e turisti a spasso e concludo la gita pensando che questo sarebbe un ottimo posto dove rifarsi una vita.
Uno scorcio della passeggiata a Howth

Torno a Dublino in serata con una gran voglia di starmene per gli affari miei, senza dover più seguire una guida che mi dicesse quando mangiare.

Il giorno dopo me ne cammino lungo il fiume Liffy quando mi viene in mente che avevo letto da qualche parte che poco distante da Dublino c’è una località marittima, Howth, veramente incantevole. Basta prendere la Dart (filovia), e in mezz’ora si arriva.
C’è il sole, merce rara da quelle parti, e così decido di spostarmi sul mare. Dublino può attendere.
La scelta si rivela vincente: Howth è veramente meravigliosa, con il suo faro, il porto, un vento allucinante e il sole finalmente splendente. Dalla cittadina parte una lunga camminata di circa 3-4 ore i cui ci si perde nel verde della macchia mediterranea, e pazienza se siamo ben lontani dal Mediterraneo, fiori arbusti e colori sono del tutto simili.
Io cammino in questo paradiso con grande calma, mi godo ogni istante che la giornata mi regala, finchè giungo su un promontorio sovrastato da un faro: fine della camminata. Mi siedo tra le frasche a guardare lo sterminato blu davanti a me.
Il ritorno è meno poetico, mi perdo nella cittadina, un altro posto di cui devo guardare il costo delle case per poi sognare di trasferirmi con una moglie di nome Wendy e un cane che mi fa le feste quando rientro da lavoro. Già che sono di strada passo per il solito castello, in questo non mi pare si possa entrare, poco male, non l’avrei fatto comunque.

La mattina del penultimo giorno mi aggrego a un free tour a piedi per le principali vie della città: si parte da “The spire” e si toccano (da fuori) i punti salienti: la guida è un ex metallaro che odia l’Inghilterra e Trapattoni,  riesce a darmi informazioni utilissime sul Paese, alcuni cenni storici fondamentali e con il suo fare esaltato, a tratti incazzato, coinvolge tutto il gruppo per quasi tre ore. Lasciata la mancia mi faccio un giro al Trinity College, entrata gratis eccetto la sala della biblioteca che costa 16 euro e di cui si possono trovare ottime foto in internet, la casa di Joyce, la statua dello stesso, la statua di Wilde, il castello di Dublino (vale quanto detto sopra), vari ponti (i veri protagonisti della città), e una bionda a Temple bar, il quartiere dei pub, a detta della nostra guida una baracconata per turisti.
Il celebre Temple Bar

L’ultimo giorno decido di puntare il Phoenix Park, l’enorme polmone verde cittadino, dove mi imbatto in un obelisco dedicato a Wellington, una serie di aiuole perfette e, soprattutto, una mandria di cerbiatti! Resto folgorato dalla loro bellezza, e per un po’ mi siedo ad osservarli! Ma non saranno gli unici, visto che scoprirò un intero campo da rugby completamente invaso da questi animali.

Per pochi euro entro nelle carceri di Kilmainham dove fino a pochi anni fa venivano rinchiusi i rivoluzionari, passo di fronte al museo della Guinness ma penso che in fondo a me non mi è mai piaciuta, e spendere oltre venti euro per scoprire come viene fatta una cosa che non mi piace non ha tutto sto senso.
Mi concedo l’entrata nel Piccolo Museo di Dublino (10 Euro), dove un signore distinto e vestito da nobile di fine ‘800 ci fa fare un giro per il tipico appartamento dublinese del secolo scorso: le stanze sono colme di libri, poster, quadri, e soprammobili, tutti riferimenti alla storia di questa città fatta di orgoglio nazionale, grandi scrittori e fede religiosa.
Giro ancora un po’ le strade del centro, quasi a fissarle nella memoria, poi è tempo di prendere il bus che in mezz’ora mi porterà all’aeroporto.

Si cara Irlanda, ora che ti ho scoperto posso dire che le mie sensazioni erano giuste: mi piaci un sacco!


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