"Le persone non fanno viaggi, sono i viaggi che fanno le persone" J.Steinbeck

venerdì 6 febbraio 2015

Romania



Figo, ma perché proprio lì?”
Queste, più o meno, le parole di chi venne informato del nostro imminente viaggio, in Romania.
Quattro giorni.
In pieno novembre.
Come festa laurea di mio fratello.
In effetti, cosa possa spingere due ragazzi poco più che ventenni a scegliere quella che fu per i romani la Dacia tra le decine di mete decisamente più appetibili  raggiungibili dagli scali delle diverse compagnie low cost, rimane un mistero piuttosto arduo da risolvere.
Mettiamoci anche la cattiva nomea che,ingiustificatamente, su certi aspetti la Romania si porta dietro, e il fatto che le temperature in inverno scendono abbondantemente sotto lo 0, e la perplessità da parte di amici e parenti furono d’obbligo.
 “Come mai non Madrid?” “Le canne ad Amsterdam come tutti vi fanno schifo?”
Probabilmente fu proprio questo essere al di fuori delle principali destinazioni turistiche a farci propendere per la Romania.Il misterioso che affascina più del senso di deja vu che si potrebbe provare di fronte all’Arco di Trionfo, anche la prima volta che lo si osserva dal vivo. Dai, l’abbiamo già visto tutti, in tutte le salse, comodamente spaparanzati dal divano di casa mentre i ciclisti lo superano arrivando a Parigi e puntando il traguardo ai Campi Elisi. L’inquadratura dall’elicottero che riprende la diretta del Tour lo rende ancora più imponente di quanto non lo sia. Non c’è gusto.
Inoltre, chissà che risparmio una volta arrivati là: consultando i vari forum relativi alla Romania (pochi per la verità) riusciamo a capire che si può cenare in ottimi ristoranti centrali con quello che noi, qui in Italia, spendiamo per andare al McDonald’s. Avremmo fatto i nababbi con pochi Euro, e questo ci allettava molto. E poi, che dire della Transilvania, la regione di Dracula, con i suoi castelli e le vallate da film. L’avremmo vista innevata, con ogni probabilità: una figata assurda.
I biglietti aerei li prenotiamo su Wizzair,( https://wizzair.com/it-IT/Search), compagnia low cost che opera soprattutto nell’Est Europa: ci assicuriamo un’andata e ritorno a 70 Euro, e poteva pure andarci meglio avessimo prenotato un po’ prima.
Nel frattempo ci informiamo su altre cose concrete del paese che andremo a visitare: la moneta è il leu, e ce ne vogliono circa 4,5  per comprare un Euro. L’intera Romania è piena di “money Exchange” in cui è possibile cambiare immediatamente i soldi e, allontanandosi dai luoghi più turistici, i tassi di cambio sono piuttosto simili a quelli reali. Nessuna inculata, quindi.
La lingua, ovviamente, è il rumeno. Io l’ho trovata incomprensibile mentre mio fratello continuava a insistere sul fatto che, essendo neolatina, gli risultava piuttosto decifrabile. Il fatto che abbiamo preso un paio di pullman in direzione contraria a quella voluta e che per trovare il terzo ostello ci siamo messi a girare in tondo lungo il consolato francese, coinvolgendo nella ricerca qualsiasi disperato ci capitasse a tiro, quando bastava attraversare la strada, mi fa capire quanto mi abbia preso per il culo.
Per dormire ci affidiamo a Hostelbookers (
http://it.hostelbookers.com/): 3 ostelli per 4 notti.
I prezzi sono vantaggiosissimi: si va dai 6 Euro del Friens Hostel, probabilmente il più spartano di quelli girati,  ai 10 Euro del Centrum Hostel, che comunque garantiva la colazione e una finestra affacciata sulla via principale dell’elegante Brasov.
La qualità delle strutture è stata molto elevata: letti comodi, wi-fi gratuito, bagno pulito, cortesia del personale. Insomma, ci siamo trovati molto bene, e ciò fu legato anche al fatto che i dormitori erano praticamente vuoti; d’altronde, a fine novembre, i turisti in giro per la Romania saranno stati 4 gatti.
Di cui due provenienti da Torino.

Decidiamo di spezzare questi  quattro giorni (scarsi) in due parti: la prima, incentrata sulla Transilvania, mentre la seconda, per le strade della Capitale.
Chiaramente è impossibile visitare una regione come la Transilvania in 48 ore, per cui decidiamo di dedicarci a Sinaia, Brasov e Bran,disposte più o meno su una stessa linea ferroviaria, lasciando perdere altre città sicuramente interessanti ( o, almeno, così venivano definite dalle cartine turistiche) quali Sighisoara, Sibiu e Timisoara. Sarà per la prossima volta.

Giorno 1
Il giorno fissato per la partenza è il 24 novembre, e a Caselle incrociamo la Juventus mentre salpa verso la Svezia, destinazione Malmo. All’aeroporto riesco anche a perdere i biglietti del volo, lasciandoli su qualche seggiolino in sala d’attesa e miracolosamente ritrovati nei cestini dei cessi da mio fratello pochi minuti prima che il check-in aprisse.
Come partenza niente male.
Dopo un ora e mezza di volo, in compagnia di una serie di papponi mascherati da imprenditori di successo,si atterra all’aeroporto Coanda, sito a una ventina di chilometri dalla capitale.
Prendendo il bus 783 (ma va bene anche il 780) al costo di 5 lei, riusciamo in una quarantina di minuti ad arrivare nei pressi della stazione ferroviaria “Gare du Nord”, dalla quale la mattina dopo dobbiamo partire in direzione Sinaia/Brasov.
La stazione si trova nella periferia di Bucarest e, posati i bagagli in ostello, decidiamo di perlustrare la zona: per le vie non c’è nessuno e tira un’aria gelida. Un tizio si avvicina e chiede se vogliamo della compagnia: a malincuore diciamo che siamo a posto così.
Non riusciamo a trovare nulla di caratteristico in cui mangiare, così finiamo per andare a cenare nel KFC della stazione.
Rimaniamo colpiti dal pochissimo movimento che si percepisce in giro; magari è perché siamo in periferia.
Poco male, il giorno dopo ci aspetta una giornata pesantissima. Filiamo a letto nascondendo sotto i cuscini la poca roba di valore, e con duemila sveglie puntate per evitare di perdere il treno, ci addormentiamo.

Giorno 2
Non so quale temperatura ci fosse martedì 25 novembre alle 7.30 di mattina lungo la strada che, dal nostro ostello, porta alla stazione. So solo che fu un impresa tirare fuori le mani dal cappotto per infilarsi in bocca uno di quei deliziosi dolci tutto crema e pasta sfoglia che in Romania vanno alla grande, e che non capisco perché qui in Italia siamo ancora dietro alle fette biscottate.
Raggiunta la stazione, il capo comitiva, nonché mio fratello, il neolaureato, riesce a acquistare un Regionale al posto di un Rapido: la tabella di marciava va’ a farsi fottere dopo poche ore, e ci troviamo su un trenino caratteristico che, lentamente, si allontana dalla periferia di Bucarest fino a tagliare le vallate della Transilvania. *
Dai sedili esce un’aria bollente tanto che, quando vediamo il cartello “Sinaia” comparire dopo un ora di viaggio, quasi non mi sento più le gambe.
Saltiamo fuori in quella che è definita la “perla dei Carpazi” e notiamo come la giornata sia splendente: l’aria rimane piuttosto frizzantina, ma il sole piantato in mezzo al cielo rende tutto più caldo.
Immediatamente cerchiamo la strada per il Castello di Peles, uno dei più belli della Romania( per info e costi http://peles.ro/ ): come per ogni attrazione rumena, anche questa non è segnalata! Nessun cartello, nessun box informazioni che ci indichi la strada per raggiungerlo: non resta che unirci a altri tre turisti più informati di noi e raggiungere il castello insieme.
Dopo una mezzora di leggera salita, tra pini innevati e ruscelli ghiacciati, raggiungiamo il castello: chiuso. Per pulizia!

Non ci abbattiamo e facciamo il giro di questo spettacolare edificio: la vista sulle montagne circostanti è magnifica, e dopotutto, l’interno dei castelli l’abbiamo sempre ritenuto noioso.
 A pochi metri dal castello c’è un edificio reale, questo aperto. Con pochi lei entriamo e visitiamo quella che doveva essere la residenza di uno dei parenti del Re. Come detto, i lussuosi interni regali non ci hanno mai appassionato più di tanto, e poi per ogni foto da scattare c’è da pagare una sorta di obolo.
Ne approfittiamo per scaldarci, e usciamo.
Nel frattempo, lungo la stradina che porta al castello, vengono aperte una serie di casette in legno dalle quali si vende un po’ di tutto: calze, cibo, oggetti tipici, cartoline, magneti, copricapo. Noi tiriamo dritto e giungiamo ad un monastero ortodosso accessibile al pubblico: entriamo e veniamo colpiti dalle differenze rispetto alle chiese cattoliche.
Qui Dario mi chiede se mi sarei trasferito tra quelle montagne, in uno di quegli enormi villoni presenti a Sinaia, città indubbiamente ricca. Dopo un accorata discussione entrambi concordiamo che no, si è troppo isolati, che preferiamo il buco di culo dove siamo cresciuti.
Assorbiti da queste riflessioni prendiamo il treno e continuiamo il nostro viaggio verso Brasov, la capitale della Transilvania. Consumiamo il pranzo sul treno, e appena arrivati schizziamo fuori dal vagone: prima che sia buio vogliamo salire sul Tampa, il monte che sovrasta la città e sul quale sono poste le lettere giganti B-R-A-S-O-V, in stile hollywoodiano.
Dopo una frenetica corsa, riusciamo a raggiungere la funivia, in Strada Bunloc 70G: con pochi lei si è su. Manca poco al tramonto e il panorama è fantastico: tutta Brasov è ai nostri piedi, e il centro storico, morroncino e in stile medievale, si stacca nettamente rispetto al resto della città. Ci attacchiamo come scimmie alla B di Brasov e facciamo un paio di foto prima che il sole cali definitivamente: decidiamo di scendere a piedi, e dopo quaranta minuti di marcia, siamo di nuovo vicino alle mura della città. Intorno è tutto buio.
Dopo una doccia in ostello, giriamo le vie del Centro come lupi affamati alla ricerca di un posticino economico in cui mangiare qualche piatto caratteristico.
Con una sessantina di lei (in due), troviamo una bella locanda dove assaporiamo la famosa ciorba (che poi non è altro che una zuppa), un abbondante secondo a base di carne e patate e una Tuborg.
Nei paesi dell’Est la mancia è obbligatoria, e visto che ci hanno trattato bene e che con tutti quei lei in tasca ci sentiamo ricchi, lasciamo all’avvenente cameriera un bel pezzo da 20.
Usciti cerchiamo un locale dove vedere Malmo-Juve: niente da fare.  Ci accontentiamo di vedere un pezzo di Ludogorets- Liverpool, bere un amaro per poi tornare al Centrum hostel: il giorno dopo c’è da alzarsi presto per andare a Bran!
3 giorno
Il Castello di Bran (http://www.bran-castle.com/) si trova a un’ora di pullman da Brasov, ed è particolarmente noto perché considerato , a detta di molti ingiustamente, come quello di Dracula.
La mattina, con enorme difficoltà, riusciamo a trovare la stazione Bartolomeu, quella dei pullman, acquistiamo i biglietti (7 lei l’uno,con una partenza ogni ora) e partiamo: il mezzo è particolarmente vecchio e sembra sbandare a ogni curva. Nonostante ciò, dopo un’ora esatta, riusciamo a mettere piede a Bran.
Questa cittadina, di 5000 anime, si trova in una zona pre-montanara, e quella mattina di fine novembre, complice anche una gelata che aveva investito tutto il Paese, si toccarono i -8 gradi.
Per un oretta vaghiamo per il paese: le casette sono molto caratteristiche, e davanti all’ingresso dell’area del castello c’è un mercato con souvenir e oggetti vari. Il freddo, però, è insostenibile, così decidiamo di entrare immediatamente nel castello, sperando di trovare un minimo di tepore.
L’ingresso all’area costa 30 lei (circa 7 E), ma per gli studenti 15.
Il castello è appollaiato su una rupe, alle cui pendici si trova un laghetto, vista la stagione ghiacciato, delle croci in pietra, e decine di alberi alti e sottili.
L’ambiente è molto suggestivo!

Dopo una ripida rampa si giunge in cima alla rupe: sin da subito ci rendiamo conto di non essere in un castello “regale”: sembra più una fortezza, con scale ripide, camere spoglie, mura e torrette, e nessuna concessione al lusso. E nemmeno al riscaldamento, visto che l’unico posto in cui siamo riusciti a scioglierci i muscoli è stato il bagno, con i suoi potenti phon.
Vi risparmio la polemica legata al fatto che questo non sarebbe il castello di Dracula ma una bella rappresentazione atta a spillare soldi ai turisti: questo lo sapevamo fin dalla partenza e non ci ha fermato. D’altronde il castello “originale” è andato distrutto nei secoli.
Un’altra critica, sempre legata al castello, è quella per cui solo una stanza è dedicata a Vlad “l’impalatore”, il conte che poi ha dato l’ispirazione a Stoker per dar vita a Dracula: anche in questo caso noi non siamo rimasti particolarmente delusi. Probabilmente sarebbe stato peggio se su ogni parete fosse stata appesa una testa d’aglio e il cassiere si fosse presentato con i denti aguzzi e il mantello nero.
Usciti dalla fortezza finiamo a girovagare per il mercatino: sono poche bancarelle e i commercianti, coperti fin sugli occhi da pellicce e colbacchi, quasi ci tirano per la giacca appena vedono sui nostri occhi un barlume di interesse verso la loro mercanzia.
Naturalmente è tutto un bicchierino-spilla-cartolina-quadretto-poster-cucchiaio-maglietta con l’effige di Dracula: ci assicuriamo un paio di souvenir e prendiamo il pullman per tornare a Brasov.
Il freddo è veramente insopportabile!
Tornati in quella che è la capitale della Transilvania, pranziamo nella piazza principale, la Council Square, e da lì viriamo verso la Chiesa Nera, il monumento più celebre della città: l’ingresso costa 5 lei e paiono soldi buttati, visto che all’interno non è nulla di particolare… e poi continuiamo a notare come i rumeni non facciamo proprio nulla per valorizzare le proprie attrazioni: non ci sono guide, né audio guide, e, tolto qualche cartello in inglese, il turista è lasciato alla propria mercè.
E questa sensazione è accentuata ancora di più salendo sulla Torre Bianca e sulla Torre Nera, due bastioni posti tra i colli che si affacciano su Brasov: incuria, sporcizia, scritte e nessun controllo non rendono il giusto onore a quelle fortificazioni che, proprio per la posizione in cui sono poste, ci regalano un fantastico tramonto sulla città, con la Black Church che spicca in tutta la sua tenebrosità.
D’altronde, chi l’ha mai vista una chiesa nera?
Per tutto il pomeriggio battiamo le eleganti stradine del centro, perdendoci tra le viuzze pedonali di Brasov e finendo, più o meno volontariamente, in Strada Forii, una delle vie più strette d’Europa, con i suoi 111 cm di larghezza e, sulle pareti, le impronta di centinaia di suole.
Alle 18 entriamo in stazione e facciamo i biglietti per Bucharest: sono circa 45 Lei a testa (11 Euro) e quasi tre ore di viaggio, che utilizziamo per riposarci.
L’Umbrella Hostel si trova in una zona centrale della Capitale, e per raggiungerlo prendiamo la metro, molto comoda ed economica: un abbonamento giornaliero costa 6 lei, cioè 1,5 Euro.
Alla faccia delle 9 sterline per la Tube.
Sistemati i bagagli iniziamo a girare per le strade di questa metropoli con lo scopo di mettere sotto i denti qualcosa: nulla! Sono passate le dieci e gli unici locali aperti sembrano trappole per turisti, con prezzi esorbitanti (per la Romania, s’intende).
Alla fine optiamo con sommo dispiacere per un Piazza Hut: la schifosità del prodotto supera ogni nostra previsione, e promettiamo di non mettere mai più piede in quella catena. Piuttosto si muore di fame!
Andiamo a letto stanchi ma felici: in 24 ore siamo passati dal gelo del castello di Dracula, perso tra i monti della Transilvania, al caos  della capitale rumena, passando per la Chiesa Nera, la Torre Bianca e tutte le meraviglie di Brasov. Non capita sempre di vivere le giornate con questa intensità. Anzi, non capita mai.
 
Giorno 4
Bucarest non è una città turistica.
Non lo è tutta la Romania, se è per questo, ma a Bucherest è più evidente! Forse perché, essendo la capitale, uno si aspetta un minimo di accoglienza in più, del personale con qualche conoscenza linguistica, delle cartine o degli infopoint sparsi per la città: niente di tutto questo.
Tocca fare da soli, e la cosa non è che ci dispiaccia.
Partiamo con il Museo del Contadino Romeno (http://www.muzeultaranuluiroman.ro/), sito a pochi metri da “Piata Victorei”, e fronteggiato dall’enorme parco “Parcul Kiseleff” , vista la stagione, non proprio godibile.
Questo museo, esaltato da tutte le guide turistiche della città, palesa le stesse lacune evidenziate in precedenza: personale poco preparato, brevi descrizioni e l’idea che il buon potenziale esposto non sia sfruttato a dovere. Certo, il costo per gli studenti è veramente esiguo (appena 2 lei), ma siamo in uno dei posti più visitati della capitale: ci aspettavamo un po’ più di professionalità.
I due piani di edificio sono ricolmi di strumenti agricoli, tra cui un imponente mulino a vento e una stalla di dimensioni naturali.
Scendendo le scale e uscendo per un attimo da tutti quegli attrezzi in legno e capanne di paglia, si può visitare anche una cripta con i busti di Lenin e Ceausescu, messi lì quasi segretamente e altrettanto segretamente adorati dai nostalgici di mezza Europa.
Usciti dal Museo prendiamo la metro e ci dirigiamo verso il centro storico: si tratta di un groviglio di strade lastricate e chiuse al traffico in cui sono presenti numerosi negozi di lusso, botteghe e ristoranti. L’area, conosciuta anche come quartiere Lipscani, è molto affascinante, ed è racchiusa tra Piazza Uniri e la stazione metro dell’Università: proprio da piata Uniri puntiamo dritti verso il vero simbolo della città.
Il Parlamento. In rumeno Palatul Parlamentului.

Che voi ci crediate o meno, questo rappresenta il secondo edificio più grande al Mondo dopo il Pentagono per estensione e il terzo per volume. Venne costruito a partire dagli anni ’80 per volere di Ceausescu, e si stima che il costo totale dell’opera sia aggirato intorno ai 3,3 miliardi di Euro.
Esso si trova su un colle in pieno centro, che, al momento della costruzione, fu sgomberato da tutte le costruzioni esistenti, e persino la strada di fronte fu buttata giù per far posto al Bulevardul Uniri, un vialone in stile napoleonico che collega il centro del potere all’omonima piazza.
Le storie e le leggende che si annidano tra le stanze di questo edificio sono numerosissime e interessanti,e consiglio a tutti di visitare il parlamento dal vivo: per gli adulti l’ingresso costa 25 lei, mentre per gli studenti circa la metà. Ovviamente, prima di accedere nelle maestose sale fatte edificare durante il periodo comunista si viene controllati scrupolosamente, passando più volte attraverso un metal detector.
La visita vale assolutamente il prezzo del biglietto, dura un paio d’ore e si conclude in cima all’edificio, sul terrazzo, da cui è possibile vedere l’intera capitale.
Usciti dal parlamento imbocchiamo Calea Victorei, e saliamo su verso il Nord del centro: ci fermiamo in Piazza dell’università e,  poco vicino, ci imbattiamo in un monumento che ricorda i morti avvenuti durante la Rivoluzione del 1989. Arriviamo fino all’Ateneo Romano, e lì non sappiamo più a  cosa puntare; siamo rimasti colpiti da Ceausescu, dalle leggende che abbiamo ascoltato visitando il Parlamento, dal fascino che le grandi dittature esercitano un po’ perversamente su di noi. Fatto sta che, nel giro di mezz’ora, ci troviamo su un pullman carico di persone diretto in periferia, destinazione Cimitero civile e militare Ghencea, dove è sepolto il dittatore comunista.
Arriviamo di fronte al cancello del cimitero che è già buio, e in giro non c’è nessuno. Procediamo per un po’ tra le tombe, senza aver idea di che fare. Non ci andava di chiedere alle poche persone presenti se sapessero dove fosse sepolto Ceausescu: si tratta comunque di un dittatore, uno che ha lascito una terribile scia di morti alle sue spalle, che suscita sentimenti contrastanti.
Dopo un po’ ci arrendiamo al fatto che da soli non potremmo mai trovarlo, così chiediamo informazioni a due guardie, che ci scortano fino alla tomba del dittatore. Nulla di speciale, una lastra di marmo rosso con le scritte dorate. Ci dicono che solo recentemente la sua salma è stata riesumata e posta accanto a quella della moglie, Elena, ancora più odiata del marito.
Rimaniamo così, per qualche secondo, a osservare quelle semplici incisioni, con le due guardie che ci tirano occhiate sospette.
Poi, soddisfatti, torniamo in centro, dove ceniamo in una taverna niente male e festeggiamo la fine della mini-vacanza con un delizioso pasticcio di carne e un bel po’ di vino locale.

5 giorno
Siamo ai titoli di coda.
Ci restano una manciata di ore da passare nella capitale prima di recarci all’aeroporto per prendere il volo, direzione Torino.
La giornata è piovosa, e decidiamo di andare a vedere l’arco di Trionfo (Arcul de Triumf). Ancora una volta la sorte non ci arride: è semicoperto per ristrutturazione!
A pochi metri c’è un edificio pieno di drappi recanti i cerchi olimpici e mio fratello, ancora una volta, si lancia in ardite traduzioni rumeno/italiane. Certo, saranno i festeggiamenti per il centenario dei giochi olimpici a Bucarest. A me, che Bucarest fosse stata città olimpica, suonava piuttosto strano, ma lui insisteva tirando fuori ricordi di gare e premiazioni che pareva difficile smentirlo.
Poi, arrivati a casa, scopriamo che erano semplicemente i 100 anni dalla nascita del Comitato olimpico rumeno, ma tant’è.
L’ultima ora la passiamo nel parco “Parcul herastau”, veramente enorme e ben curato, con al centro un lago e, al centro di esso, l’isoletta dell’ Europa Unita con sopra i crani in marmo degli statisti che han dato vita alla UE.
All’una prendiamo il pullman che ci porta all’aeroporto e sol lì ci ricordiamo di avere dei familiari: buttiamo i lei faticosamente risparmiati in un grappino di prugna e dei souvenirs, che diremmo di aver comprato nelle bancarelle locali.

Un mese dopo, consultando le temperature di Torino, mi saltano all’occhio i gradi presenti nelle località cercate recentemente, tra cui Brasov.
-34!
Dopotutto ci è ancora andata bene.




*per tutti gli spostamenti in treno, consigliamo di consultare il sito delle ferrovie tedesche (http://www.bahn.com/i/view/ITA/it/), affidabilissimo.