"Le persone non fanno viaggi, sono i viaggi che fanno le persone" J.Steinbeck

domenica 9 settembre 2018

Quattro mesi in Romania a contatto con ragazzi svantaggiati.


La squdra
Craiova non Cracovia…e sì, si trova in Romania non in Polonia.
Ci è voluto un po’ per far capire ad amici e genitori dove sarei andato a spendere i miei successivi quattro mesi, estivi, da maggio a settembre.
Venivo da un’esperienza in Turchia, sempre di Volontariato Europeo, che mi aveva lasciato un ricordo fortissimo, cambiandomi e aprendomi a nuove esperienze, e i mesi invernali trascorsi a Torino erano stati tutt’altro che memorabili: poche idee e confuse sul mio futuro e di lavoro nemmeno l’ombra.

Cos’è un Evs e qual è il trattamento -economico e non- che viene riservato a un volontario l’ho già raccontato nel precedente post: stavolta scelgo la Romania, ma forse sarebbe più corretto dire che è lei a scegliere me. Infatti mi candido contemporaneamente per 3-4 progetti sparsi in giro per l’Europa, gli unici requisiti a cui do retta è che ci sia da lavorare in gruppo -molto meglio condividere l’esperienza con qualcun altro- e che duri non più di 6 mesi, termine oltre il quale inizierei a soffrire la lontananza.
Vengo richiamato solo da Roxana, la mentore dell’associazione Cres che, svolto un rapidissimo colloquio via Skype, mi annuncia d’esser stato selezionato: sono il fortunato vincitore di un soggiorno di quattro mesi a Craiova, a sud della Romania, in cui dovrò lavorare all’interno di scuole con ragazzi disabili e svantaggiati socialmente.
L’inizio del progetto, a causa della carenza di partecipanti, slitta di un paio di settimane: in teoria saremmo dovuti essere otto, ma tra rinunce all’ultimo e mancanze di candidature, ci troviamo solo in cinque: tre italiani e due spagnoli.

Arrivo con un volo Wizzair nel minuscolo aeroporto cittadino nel tardo pomeriggio e faccio la conoscenza immediata degli altri due italiani, Ilaria e Valentino, pugliese la prima lucano il secondo, entrambi trapiantati a Roma.

Vengo accompagnato in un bell’appartamento a 15 minuti di camminata dal Centro: lo stile del quartiere ricorda quello sovietico fatto di casermoni divisi in blocchi, ma quello che mi stupisce di più è la presenza di verde. Alberi e vegetazione combattono una silenziosa e quotidiana battaglia contro le colate di cemento che occupano il resto.
L’appartamento dicevo, spazioso e ben rifornito, lo divido con un ragazzo italiano impegnato in un altro progetto (della stessa organizzazione) e Teresa, la spagnola che fa parte del mio gruppo. Nella mia stanza non manca nulla, scrivania e balcone con vista casermone inclusi.

I primi giorni sono i più duri: la mente continua a riportarmi all’esperienza turca e il paragone è impietoso. Atmosfera, gruppo, progetto, sensazioni, tutto mi sembra peggio: è un continuo rigurgito di emozioni e ricordi vissuti, uno stato d’animo che non pensavo di poter vivere con questa intensità.
Anche la città mi pare nulla di speciale: si salvano due parchi (il Giardino Botanico e il Parco Romanescu) e il Centro, tanto piccolo quanto ben curato. Per il resto Craiova, 300’000 abitanti, si snoda su un lunghissimo corso, Calea Bucuresti, attraversato dal lentissimo (e bollente d’agosto) tram, e una ripetizione di quartieri tutti simili tra loro.
I profili esotici delle moschee e i tramonti sul mar Mediterraneo sono sostituiti da muri scrostati e vecchie Dacia che corrono impazzite per le vie cittadine: un’Italia quarant’anni indietro senza la sua storia, arte e cibo, questo sarà il mio pensiero, un po’ cinico, soffermandomi a riflettere sulla Romania.
Avrò modo di ricedermi, parzialmente, visitando la Transilvania e altre città a nord.

Foto di gruppo con i ragazzi!
Il progetto.
Come ci spiega il responsabile dell’organizzazione, Radu, un ricercatore universitario di poco più di trent’anni un po’ visionario e decisamente bonaccione, noi siamo la prima parte di un progetto più esteso che si articolerà in tre fasi: il nostro obiettivo sarà quello di creare la metodologia, una sorta di relazione in cui per prima cosa dobbiamo descrivere le attività da proporre ai vari ragazzi tenendo conto delle disabilità/svantaggi economici cui sono afflitti, ma in cui dovremmo inserire anche tutte le nostre conclusioni relative al lavoro in gruppo, ai valori che dovrebbe possedere un volontario, toccando a tutto tondo l’esperienza che andremo a vivere.
Chi verrà dopo, i volontari della seconda e terza fase, avranno il compito di implementare le attività e migliorare (o eventualmente correggere) quanto da noi scritto.
Nelle scuole, ci viene detto, dobbiamo giusto testare le attività, senza migliorarle cercando di renderle perfette: a quello ci penseranno gli altri.
Le attività, inoltre, devono rispettare quattro argomenti di riferimento: Salute e sport, Multiculturalismo, Inclusione sociale e Creatività/self expression.


Sulla carta un progetto molto impegnativo, non fosse che, dopo un paio di settimane in cui effettivamente collaboriamo con tre istituiti di cui due con ragazzi disabili, ci viene comunicato che proprio questi due saranno chiusi per l’estate.
Radu ci tranquillizza dicendo che ne contatteranno altri, e questo sarà il leitmotiv di tutti i quattro mesi: “abbiamo scritto a tal Preside, ora aspettiamo la risposta”. Che puntualmente non arrivava.
Quindi di tre scuole originarie ci troviamo a collaborare giusto con una, due giorni a settimana un ora e mezza per volta: un po’ pochino, anche perché i ragazzi di questa scuola, con un età che va dai 5 ai 14 anni, sono svantaggiati economicamente ma privi di disabilità, il che renderà la scrittura della metodologia un compito leggermente astratto.

Per quanto il gruppo viva momenti di alti e bassi, dovuti al carattere veramente differente di ciascuno di noi, riusciamo a disegnare attività molto interessanti: le maestre ci diranno alla fine d’essere stato il miglior team di volontari mai avuto, e che si tratti di una frase di circostanza o c’è del vero, fa comunque piacere sentirselo dire.
Grazie all’estro della ragazza italiana, un'artista veramente in gamba con i disegni, e la buona volontà degli altri, riusciamo a costruire via via mondi immaginari in cui sviluppare le nostre attività coinvolgendo a pieno i beneficiari: una volta usiamo le carte di Prop per fargli scrivere delle storie che interpreteranno a loro volta con uno spettacolo teatrale, un'altra ci ispiriamo ad artisti italiani, rumeni e spagnoli per fargli creare sculture in pongo e disegni, altre volte ricorriamo a giochi all’aperto, chiamati energeezer, per tenerli sull’attenti e fare in modo non si annoino troppo in classe.
Il risultato con i ragazzi sarà molto positivo, e anch’io che ero partito pieno di timidezza e con la convinzione d’avere il cuore troppo freddo per imbastire un legame con dei bambini riuscirò a sconfiggere le mie paure e nei mesi che seguiranno sarà un severo giudice di X-factor, un buffone di corte, il pagliaccio in un circo e, in ultimo, il capitano di una ciurma di pirati finita in disgrazia.

Tutto bene, quindi? Non proprio perché, come detto, tolte queste tre ore settimanali, a cui vanno aggiunte quelle per la programmazione (descrizione nei minimi dettagli delle attività con le divisioni dei ruoli e degli obiettivi prefissi, reperimento materiali,ecc) e altre per i feedback, resta comunque una montagna di ore in cui si ha poco da fare.
Certo, c’è la lezione di rumeno settimanale e il menthoring*, ma a volte pare si esageri con i team building**, le valutazioni, le prove di compilazione dello youthpass***, le registrazioni video in cui commentiamo le valutazioni, le valutazioni in cui commentiamo le registrazioni video in cui commentiamo le valutazioni, e così via.
Uno potrebbe pensare “meglio così! …Avrai un sacco di tempo libero”: ma proprio questo è il problema! La città, conosciuto il Centro e quei due locali in cui iniziano e finiscono le nostre serate, inizia a starci stretta, le conoscenze sono limitate e un senso di noia/torpore generale inizia ad avvolgere il gruppo: siamo a luglio/agosto, gli amici e le classiche vacanze italiane sono lontanissime, così come il mare che per arrivarci devi prendere il treno e sottoporti a sei ore d’inferno.  
Inoltre il gruppo non riesce ad amalgamarsi a pieno: come scritto sopra, le personalità sono diverse e a volte troppo forti, e ciò fa si che, di fatto, la nostra frequentazione si esaurirà in classe o tra le pareti dell’ufficio: le uscite tutti insieme saranno limitate e decresceranno ulteriormente col passare del tempo.
Peccato.


Vorrei aprire una mezza parentesi anche sui weekend: questi generalmente sono liberi e considerando che si hanno due giorni di ferie al mese si possono organizzare interessanti escursioni. Durante questo periodo, in compagnia ma principalmente da solo, ho visitato Timisoara, Drobeta, Cluj, Sighisoara, Sibiu e Deva. E' durante queste fughe che si scopre l'essenza di quella che fu la Dacia, fatta di castelli medievali, fiumi, Carpazi, il maestoso Danubio che taglia tutto il Paese e tanta natura da riempirci gli occhi; la Regione della Transilvania è un gioiello ingiustamente oscurato dalla presenza di Dracula, gallina d'oro su cui marcia il business dei commercianti locali.
Ci sono un paio di cose che però limitano il viaggio del volontario in Romania: i soldi (si percepisce un pocket money misero, buono giusto per qualche birra la sera), e i mezzi di trasporto, tanto economici quanto osceni.
Potrei scrivere un libro sui treni rumeni e sul disagio provato lassù, mi basta dire che, una volta vissuta questa esperienza, tornerò a considerare Trenitalia un eccellenza nostrana.


Piacevole intermezzo del mio soggiorno rumeno fu la settimana di On Arrival Training, periodo in cui vengono ospitati in un albergo a Bucarest i nuovi volontari presenti nell’intero Paese.
Una bella occasione per conoscere moltissimi ragazzi provenienti da tutta Europa, stringere contatti, amicizie, scambiarsi impressioni, organizzare belle serate, magari sbronzarsi e, perché no, innamorarsi.
I cinque giorni lì spesi sono un concentrato di attività, formazione, riflessioni, pensieri e condivisioni tenute da due bravissime trainers: per me questo è stato il periodo più entusiasmante di tutto l’Evs per distacco.
E poco male se l’albergo verrà rinominato dagli ingrati volontari “chicken hotel” per la predisposizione a offrirci pollo (e patate) a pranzo e a cena…siamo ospiti, non paghiamo nulla, lamentarsi è un crimine contro il buon senso!
La settimana di OAT!

Tirando le somme, sono stati quattro mesi interessanti, intensi sicuramente meno esaltanti della precedente esperienza: stavolta non è andato tutto liscio, ci sono stati intoppi, problemi, noia, stress e più di qualche incomprensione all’interno del gruppo.
Però sono soddisfatto: le storie belle ti lasciano con gli occhi sognanti ma insegnano poco, mentre qui, oltre all’inglese (sarò in grado di parlarlo finalmente in maniera decente?), credo di essere cresciuto molto dal punto di vista caratteriale.
Ancora una volta sarà il tempo a confermare o smentire queste sensazioni, dopotutto sto scrivendo ancora dalla mia camera con scrivania di Craiova.
Domani si torna in Italia e tempo per digerire e valutare quest’ennesimo passo della mia vita non mancherà.




Per alcune considerazioni sulla Romania: ne avevo scritto un pezzo qui.


*riunioni settimanali con i nostri mentor, responsabili, in cui si fa il punto della situazione e si cercano soluzioni a eventuali problemi
**sorta di giochi finalizzati alla costruzione della squadra
***documento in cui descrivi quanto appreso durante la tua esperienza, ma che senso ha iniziarlo a metà di essa? E comunque si tratta di 3-4 pagine, non di più.

venerdì 5 gennaio 2018

Evs in Turchia a salvare tartarughe

Premessa.
Cos’è l’EVS: è la sigla che indica il Servizio Volontario Europeo, consiste in una miriade di progetti che possono durare dai 2 mesi ai 12, finanziati dall’Unione Europa, e che riguardano temi come l’ambiente, la cultura, la solidarietà, i diritti e via dicendo.
Non mi sto a dilungare troppo sui dettagli vista l’abbondanza di informazioni che si possono reperire agevolmente in rete(i più consultati Scambieuropei e servizio volontario europeo); aggiungo solo che i progetti possono essere di gruppo o in solitaria e che vitto, alloggio e trasporti sono spesati.
Viene garantito anche un pocket money (sui 90 euro mensili), il food money e un attestato di partecipazione la cui utilità è tutt’altro che scontata.
Ah, l’EVS riguarda ragazzi che vanno dai 18 ai 30 anni.


Partenza
Due mesi a salvare il pianeta. Perchè di quello si trattava, aiutare le persone a essere consapevoli circa i danni ambientali causati dal nostro mal vivere e curare decine di tartarughe malate, o almeno, così c’era scritto nell’application form che compilai quasi distrattamente sicuro che non mi avrebbero richiamato tanto ero stretto con i tempi. Ma alle Poste non mi avevano più confermato, era ottobre e non sapevo esattamente che fare della mia vita. Non mi restava che provare.
Luogo? Mersin, Turchia. Paura? Macchè.

A discapito di quanto pensai pochi giorni dopo fui ricontattato.
Cerca i biglietti e parti, mi scrissero.
Così. Su due piedi. Senza nemmeno un colloquio.
Confermai.
Le istruzioni fornite sulla mail indicavano di atterrare all’Aeroporto di Adana, da lì prendere un pullman (Harvas) direzione Mersin, e scendere a Tarsus stazione Cleopatra, lì ci sarà qualcun pronto a prenderti.
Due giorni dopo sono su un aereo Pegasus.
Nonostante sia tutto spesato continuo a viaggiare su linee low cost, maledetta taccagneria.
Durante il volo mille pensieri mi attraversano la testa, tipo che a me delle tartarughe sotto sotto mi frega poco, che non so nulla della Turchia, tantomeno di Mersin, che sono a due passi dalla Siria, e se poi finisco in mezzo a un attentato? Come lo giustifico? Cara mamma, ero a fare l’eroe ambientalista?
Ma soprattutto mi spaventa l’idea di trascorrere due mesi lontano da casa con gente che non ho mai visto: se non lego? Se mi stanno tutti sui coglioni?
Ah in che guaio mi son cacciato …

Seguo le istruzioni a puntino e arrivo a Tarsus che è quasi notte, lì incontro il Mentore, un ragazzo turco di 35 anni. Con lui le due ragazze italiane che faranno parte del progetto.
Ci infiliamo in uno sgangherato van e prendiamo la via di Kazanli.
Inizio a parlare animatamente con una di loro: le paure che mi avevano assalito sull’aereo sono già sparite.
Quelli che seguiranno in terra turca saranno due tra i mesi più intensi e divertenti della mia vita, in cui alternerò giri per la Turchia a attività nelle scuole, nuotate a folli autostop. Una vera figata.
Per questioni di spazio mi limiterò a raccontare il progetto senza divagare molto sui viaggi fatti, sulle amicizie o sulle esperienze esterne che, sicuramente, sono la parte più interessante.

Il progetto. 
Dunque, il progetto “Save the turtle” dura 8 settimane, riguarda vari ragazzi provenienti da tutta Europa (nel nostro caso 9 provenienti da Italia, Ucraina, Ungheria, Portogallo, Russia e Romania) e ha come scopo quello di sensibilizzare la gente del posto circa il tema delle tre R (Riciclo, Riutilizzo, Riduzione) e della tutela delle tartarughe presenti in massa nelle acque circostanti.
In parole spicce, ci dice il capo dell’organizzazione, la vostra giornata si dividerà in due parti, entrambe di tre ore ciascuna.
In una pulirete la spiaggia dalla plastica e dai mille rifiuti presenti, nell’altra, attraverso un workshop, dovrete creare qualcosa da proporre ai ragazzi delle elementari/medie, tipo un flash mob, uno spettacolo, o quello che volete.

Ogni settimana ci sarà poi una lezione di turco e una visita alla green house. (*azienda agricola in cui ci avrebbero mostrato alcuni coltivazioni tipiche).
Apro e chiudo una parentesi: la visita alla green house sarà solo una, poi, recepito lo scarsissimo interesse mostrato da parte dei volontari lasceranno perdere, mentre le lezioni di turco saranno ben due (su otto previste) e ciò fu imputato al fatto che l’organizzatore iniziò a trovare una scusa dopo l’altra per saltare le suddette. Poco male, il turco è complicatissimo e in un paio di mesi già tanto se si impara a pronunciare correttamente“merhaba”.
Ah, le tartarughe? Purtroppo siete arrivati a metà ottobre, periodo in cui vanno in letargo, quindi, beh, dimenticatevele. Non c’era scritto sul sito? Vabbè, che volete fare, tornare a casa?

La Sistemazione. Sulla carta era Mersin, città da un milione di abitanti sulla costa sudorientale.
In realtà poi ci siamo trovati a Kazanli, paese a una mezz’ora abbondante da Mersin. E nemmeno Kazanli centro, bensì in un villaggetto a diverse centinaia di metri dal centro del paese: una serie di casermoni tutti uguali, un minimarket e … la spiaggia.
Per quanto riguarda il dormire, ci vengono date le chiavi di due appartamenti posti su palazzine differenti.
Non si può certo dire siano extralusso, suddette abitazioni trasudano vita vissuta e gioventù in ogni angolo, tuttavia la cucina funziona così come l’acqua calda della doccia. E per due mesi può bastare.
Nell’appartamento principale c’è anche il wi-fi, che a volte va altre meno.
Certo bisogna sperare non inizi a fare freddo perché di riscaldamento nemmeno l’ombra, e con la stufetta messa a disposizione nell’ultimo scampolo di dicembre ci si scalda a malapena la saletta principale.
Fortuna che abbiamo goduto di un clima tropicale per quasi tutto il tempo della nostra permanenza.

L’attività.
Generalmente la mattina battiamo la spiaggia di fronte Kazanli riempiendo sacchi neri che accatastiamo in alcuni punti specifici, mentre il pomeriggio spremiamo le meningi cercando di tirare fuori idee per sensibilizzare i ragazzi: proprio a questo proposito iniziano i primi problemi. Il mentore ci è decisamente poco d’aiuto, non sappiamo bene a che età ci rivolgeremo e che materiale abbiamo a disposizione.
Dopo vari pomeriggi passati a buttare giù idee e stracciarle ci orientiamo verso una presentazione in inglese per i ragazzi più grandi, mentre per i più piccoli uno spettacolino: in qualche modo saltano fuori due costumi da tartaruga, io mi impossesso del ruolo muto per eccellenza, il pescatore, e su questa idea iniziamo a lavorare. Ipotizziamo anche la nascita di un laboratorio da proporre ai ragazzi in cui riutilizzare i cartoni dei succhi di frutta, trasformandoli in portafogli e borsette.

I ritmi sono blandi, tipici di ragazzi che non hanno chi li controlla, e che quindi possono limare manciate di minuti al duro lavoro: capitava spesso di prolungare la colazione e quindi ritardare la raccolta di immondizia, o di prendersi luuuunghe pause durante i workshop: ma siamo sinceri, per allestire uno spettacolino di un quarto d’ora tre ore al giorno per un mese e mezzo sono un lasso di tempo notevole. E per ciò che riguarda la raccolta dei rifiuti, bè, i sacchi continuavano ad accumularsi sulla spiaggia, aspettando che qualcuno li passasse a raccogliere, mentre il sole, il vento, la pioggia e gli animali selvatici iniziavano a danneggiarli. Il lavoro, a tratti, ci pareva inutile.


L’Organizzazione.
Due righe voglio spenderle anche per ciò che riguarda l’autogestione che ci siamo imposti e che ci ha permesso di non finire l'EVS a coltellate: sin da subito ci siamo divisi in gruppi da tre e ogni giorno una “squadra” si occupava di far tutto, spesa, pulizie e cucina.
Un lavoro stressante, molto più della normale attività, almeno per me che prima d’allora non avevo mai passato lo straccio per terra e il piatto più complicato cucinato era stato l’uovo al tegamino.
Inoltre, dei nove che eravamo, quattro erano vegetariani e una vegana: un bel casino mettere in tavola ogni giorno piatti che piacessero a tutti.
La sorte mi baciò quando decisero di mettermi in squadra con due sorridentissime ragazze ungheresi che, di fatto, si occuparono in toto della cucina. Io mi auto emarginai proclamandomi Ministro delle Pulizie, ruolo che mi riusciva abbastanza bene e mi regalò un certo prestigio, visto lo schifo in cui solitamente vivevamo.
Una menzione speciale va fatta agli altri ragazzi che, a differenza mia, cucinarono un sacco di leccornie non facendomi mai rimpiangere il mestolo di mamma; la cosa, tra l’altro, mi fece prendere un paio di chili che sto cercando tutt’ora di smaltire.
Per ciò che riguarda la spesa, ci furono indicati 4-5 negozi in Paese che ci avrebbero fatto credito, segnando man mano il conto e saldando il tutto alla fine.
Ci andavamo ogni tre giorni, era diventato un piacevole passatempo mischiarsi con la cultura locale e dopo un po’ chi più chi meno ci riconoscevano tutti quando passavamo.
Naturalmente non cucinando non è che mi imponessi più di tanto nella scelta degli alimenti, ma comunque il ruolo di muletto carico di buste dal centro paese a casa mi riuscì discretamente bene.
Come si poteva prevedere, una volta giunto il momento di tirare le somme, il totale di alcuni negozi non combaciava con quanto segnato da noi: dal macellaio e in un market del paese si parlava di poche Lire di differenza, mentre nel negozietto sotto casa la differenza fu spaventosa. Panico. Quando i più si erano già informati su quali fossero le sanzioni per i morosi in Turchia, il capo ci disse che il problema era risolto. Come non è dato sapersi.

A rallegrare il tutto le “serate nazionali”, ovvero l’impegno di ogni volontario a organizzare una cena tipica del luogo di provenienza, con tanto di presentazione e musica a seguire.
Ancora una volta la fortuna mi fu sincera complice, visto che il “gruppo” Italia era composto da altre due ragazze che prepararono bruschette e pasta.
Io mi occupai di una pessima rivisitazione storica dell’Italia (è legale riassumere la storia d’Italia in dieci minuti a ragazzi palesemente vogliosi di tracannare il vino comprato apposta?). Litigai con la ragazza portoghese circa la nazionalità di Cristoforo Colombo (è italiano, no vaffanculo è porciugheis), e me la scampai ancora una volta.

Tempo libero
Le sere erano generalmente rilassanti, le passavamo a progettare i weekend, a giocare a Mafia o altri giochi di società, o semplicemente a farci gli affari nostri. Raggiungemmo un livello di intimità talmente alto che non sentivamo nemmeno l’obbligo di fare per forza qualcosa ogni sera. Qualche volta un film, altre una passeggiata sulla spiaggia, un paio di volte a fumare shisha nell’unico locale di Kazanli, cose di questo genere. Attimi indimenticabili nella loro normalità.
L’alcool era caro e non tutti i locali/esercizi lo vendevano: poco male, non ce n’era bisogno per rallegrare l’ottimo umore del gruppo.
Anche se un paio di sbronze targate Raki o palinka resteranno negli annali…

Per il resto, non è che avessimo tutto questo tempo libero durante il giorno: dalle sei e mezza eravamo liberi, ma tra una doccia, una scopata (per terra) e una corsetta dimagrante non restava molto tempo.
Restano i tramonti che incendiavano il mare, quelli sì uno spettacolo indimenticabile.

Le scuole
Le ultime due settimane furono quelle in cui c’era da vedere sul campo quanto prodotto. Dopo innumerevoli solleciti, una litigata colossale con il Mentore che per questo decise di tagliare i ponti con l’intero gruppo, finalmente arriva la municipale a raccogliere i sacchi di immondizia.
Ci arriva dopo che abbiamo travasato tutti i sacchi in altri nuovi, visto che i precedenti sono stati distrutti dalle intemperie. Un lavoro tanto faticoso quanto inutile. E particolarmente sporco.

Ma, cosa più importante, è tempo di entrare nelle scuole, toccare con mano il frutto del nostro lavoro.
Ci esibiamo all’aperto e al chiuso, tanto in un teatro bello grande, quanto in una classe arrangiata per l’occasione: il risultato è una marea di applausi e un senso di appagamento veramente difficile da spiegare.
I bambini sono coinvolti dalla storia delle due tartarughe vecchie che ricordano quando erano giovani e sane e si auspicano un cambio di rotta, mentre i più grandicelli, quelli a cui propiniamo la presentazione, ci accolgono con vero interesse. Noi, europei, che parliamo una lingua diversa e abbiamo caratteri somatici diversi (io per la verità nemmeno tanto) siamo visti come alieni, ma forse sarebbe opportuno dire star.
In diverse scuole ci offrono da mangiare, e a qualcuno chiedono pure l’autografo :)
Ma i più gratificati da tutto ciò siamo noi, nove ragazzi così diversi ma ormai amici, catapultati in una realtà completamente differente, finiti a fare spettacoli teatrali e presentazioni tra i banchi di scuola, con la sagome di Ataturk che severa ci fissa, e una filastrocca turca che proprio non riesco a memorizzare.

Bilancio
Il voto all’esperienza sarebbe 10. Anzi, lo è.
Ma esso tiene conto anche, e soprattutto, delle scorribande fatte in Cappadocia e nel resto del Paese, delle amicizie fatte e del senso di libertà respirato.
Se devo valutare (e magari consigliare) il progetto dico che non si tratta di un’organizzazione impeccabile, tutt’altro: il livello di conoscenze trasmesse è limitato, gli organizzatori non sembrano avere più di tanto a cuore il tema ambientale e i ritardi/cambi di programma sono all’ordine del giorno.
Come detto le lezioni di turco non ci sono praticamente state, e la famosa visita all’ospedale delle tartarughe si è concretizzato in una toccata e fuga in un centro che sì conteneva parecchie specie ferite, ma senza una guida che desse due informazioni, è risultata parecchio inutile.
Il Mentore, di cui ho omesso il nome, si è comportato in maniera infantile, prendendo ogni richiesta da parte del gruppo come un’accusa personale e chiudendo i contatti ben prima della fine dei lavori ha dimostrato la sua poca professionalità. L'Organizzatore, invece, un insegnante di inglese sui generis, è riuscito a strappare la simpatia di tutto il gruppo con il suo modo di fare affabile e divertente.
C’è chi dice che i due che gestiscono tutto lo facciano per lucrare qualche soldo dalla comunità europea, oltre che per conoscere qualche bella ragazza europea.
Può darsi, anzi, possibilissimo.
Ma nei miei confronti sono sempre stati corretti e puntuali, anche per ciò che riguarda il pagamento dei vari pocket money/rimborso viaggio/food money.
Il luogo, molto isolato, può essere visto come un handicap, anche se, dopo lo shock iniziale, a me è parsa più come una bella occasione per conoscere la vera Turchia, quella rurale, ben lontana dalle rotte turistiche.

Quindi, per concludere quest’enorme articolo- sempre ci sia qualcuno che è riuscito ad arrivare fin qui senza addormentarsi- si tratta di un’esperienza che consiglio a tutti quelli che han voglia di viaggiare, divertirsi, conoscere un paese fantastico e nuove persone con cui condividere momenti indimenticabili.
E anche a chi vuole mettersi in gioco, o semplicemente chi non ne può più della routine che ci assale e si vuole regalare un'esperienza fuori dagli schemi che lo faccia sentire dannatamente vivo.
Ma se proprio avete a cuore la sorte delle tartarughe e volete fare di tutto per salvarle, bè, forse questo non è il progetto che fa per voi.