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La Via degli Dei. Da Bologna a Firenze.

Con questo post proverò a raccontare la mia esperienza sulla Via degli Dei , un percorso di circa 130 chilometri che si snoda lungo l’Appenn...

venerdì 22 agosto 2025

Spagna del Nord in van: quel che siamo riusciti a vedere in due settimane.

La traversata francese

Il primo passo per organizzare una vacanza in Spagna del nord con il van è ottenere un van. Noi abbiamo aggirato questo scoglio facendocelo prestare dai genitori di Viola (che ringraziamo).Tutto il resto è in discesa.
L’itinerario è volutamente approssimativo: la libertà che offre un mezzo del genere è impagabile, decidendo all'ultimo quando concedere maggior tempo a certe località e togliendone ad altre meno meritevoli, o in cui minaccia brutto tempo.
La partenza avviene in un luogo imprecisato vicino Milano, dove è depositato il van; dopo un breve briefing in cui ci viene ricordato come cambiare le acque chiare, quelle scure (la merda), fare rifornimento, e alcune specifiche relative al mezzo che, fatta la prima curva, ci dimentichiamo, partiamo verso ovest, direzione Monginevro. Percorrendo l’A4 gocce di pioggia battezzano il nostro viaggio, e noi ne approfittiamo per prendere confidenza con questo bestione lungo 6 metri e largo 3.

Bibbia digitale di ogni camperista è l’applicazione Park for Night, gratuita, che mostra per ogni località campeggi, aree di sosta, parcheggi pubblici e servizi utili per chi vuole dormire sul proprio veicolo. Abbastanza indispensabile per chi si cimenta in un viaggio del genere.
Dopo un breve pit-stop a Briancon, ci fermiamo alle Camargues, in Francia, dove troviamo una squallida area di sosta che ha il merito di trovarsi a poche decine di metri dal centro di Saint Marie de la Mer. E’ già pomeriggio inoltrato quando percorriamo le stradine del centro della cittadina francese, sgranchiendo gli arti inferiori. Qui ci regaliamo il primo bagno della vacanza (chissà come sarà fredda l’acqua dell’Oceano! Ci aveva ammonito qualcuno), entriamo nella graziosa cripta della Chiesa (quella su cui si può salire sul tetto) e in un alimentari acquistiamo i primi viveri per i successivi pasti. In serata il cielo si colora con dei fuochi d’artificio!
La mattina seguente, saldato l’obolo per la notte e assaporato il classico croissant, ricominciamo la traversata del sud della Francia: a metà pomeriggio sostiamo a Carcassonne, città medievale che in precedenza conoscevo solo per il gioco da tavola (se passiamoda lì lo compro, cit*). Carcassonne la metto sullo stesso piano di Bonifacio, Monteriggioni, Pienza, e tutte quelle cittadine suggestive se osservate in foto o in qualche ripresa dall’alto, ma, una volta in loco, risultano traboccanti di turisti, colonizzate da gelaterie, negozi di souvenir e file di persone ovunque. Insomma, un incubo.
Nel pomeriggio inoltrato arriviamo a Lourdes, che è sempre una buona idea. Si tratta di una perla accolta tra i monti dei Pirenei, in cui è difficile differenziare il sacro dal commerciale. Riesco perfino a convincere Viola a partecipare alla messa delle 22.30 nella grotta dove Bernardette ebbe le celebri apparizioni mariane a metà ‘800. Mio fratello via telefono annuncia la nascita di sua figlia, divento zio. Potrebbe essere interpretato come segnale divino?
La mattina seguente facciamo il nostro primo carico/scarico di acqua: io mi occupo di riempire il serbatoio da cento litri, mentre Viola si diletta con i liquami. Faremo un po’ a turno.Cit.
L’uscita dalla Nuova Aquitania viene accolta con un sospiro di sollievo: le autostrade francesi ci hanno spremuto come arance siciliane.

*vabbè su Amazon lo vendono a metà prezzo, lo prendo lì.
Attualmente é ancora nel carrello.

Finalmente Spagna! Paesi Baschi y Pamplona
San Sebastian si trova a pochi chilometri dal confine francese, e ci accoglie con della pioggerellina che aumenta di intensità man mano che ci avviciniamo alla spiaggia. E’ ricca di spazi verdi, moderna, in alcuni angoli un po’ inglese, in altri francese, viste le numerose ville in stile liberty presenti lungo La Concha, baia su cui si srotola la città basca.
La Concha di S. Sebastian
 Dopo aver posteggiato il van in un’area di sosta periferica, percorriamo il lunghissimo lungomare che si affianca alla baia, incastonata tra i monti Igueldo e Urgull. Percorrendo le stradine strette della città vecchia riconosco la Spagna di cui ho memoria; attraversiamo Plaza de la Costitution, la Cattedrale, la Chiesa di San Vincente, sbattendo continuamente in locali in cui vendono pintxos, sorta di tartine basche con sopra un po’ di tutto, specialmente pesce, che si divorano in pochi bocconi. Meglio se accompagnati da cerveca o tinto de verano. Ne proviamo un po’ con pareri contrastanti.
Nel pomeriggio saliamo sul monte Urgull, mentre in spiaggia dei soccorritori provano a rianimare un corpo ormai esamine-pessimo presagio-. Entriamo nell’Aquarium dove Viola riempie la propria galleria del telefono con foto di cavallucci marini, mentre io penso che un altro pintxo me lo mangerei volentieri a merenda. Il tuffo nel mar Cantabrico salta causa pioggia in atto; peccato, la spiaggia è enorme, libera ed attrezzata.
Il giorno successivo, l’8 Luglio, è dedicato a Pamplona, in festa per San Firmino. Esatto, quella in cui tori corrono insieme alla folla, non di rado incornando qualcuno. Specifico di essere contro le corride, e trovo inutilmente sadico spettacolarizzare la morte di una bestia, tuttavia ci trovavamo a pochi chilometri da Pamplona, durante una festa conosciuta in tutto il Mondo, tirare dritti sarebbe stato poco saggio, no?
Il van riusciamo a posteggiarlo in un’area di sosta prossima al centro città, e la festa è esattamente quello che uno si aspetta di trovare: strade brulicanti di gente che canta, balla, intona cori, beve, tutti rigorosamente vestiti di bianco con il fazzoletto rosso al collo. Una festa diffusa e partecipata, contagiosa, con però in agguato sempre l’ombra ingombrante della tauromachia. Alle 8.00 di mattina, infatti, per tutta la durata della Festa, ha luogo l’
encierro
, ossia il passaggio dei tori dal luogo in cui sono custoditi all’arena dove, nel pomeriggio, troveranno la morte. Questo tratto di strada, lungo poco meno di 900 metri, viene transennato, e chi vuole può percorrere la strada a fianco dei tori. Noi, la mattina seguente, ci alziamo di buon’ora cercando di sbirciare qualcosa, ma il muro di persone che accalca l’Estafeta (la stadina dell’encierro) è troppo fitto, e non sentiamo nemmeno gli zoccoli dei tori. Solo una mandria di persone spostarsi.
Pamplona dev’essere una bella città, chi l’ha visitata durante il resto dell’anno la descrive come tranquilla e ordinata: noi, avendola vista durante quei giorni di orgasmo collettivo, facciamo fatica a giudicarla. Entriamo in maniera piuttosto casuale in un paio di chiese (anche quella in cui sono custodite le spoglie di San Firmino) e visitiamo un ponte romano da cui passa il cammino di Santiago. Può bastare così.
Torniamo nei Paesi Baschi, dove ci godiamo un po’ di mare nella splendida spiaggia di Zumaia, celebre per le scogliere in cui si può notare il flysch, singolare stratificazione rocciosa. Imperdibile l’Eremita di San Telmo, cappella da cui parte uno splendido sentiero in cresta a una roccia da cui ammirare le scogliere circostanti. La notte viriamo verso l’interno, Guernica, città distrutta dai bombardamenti durante la guerra civile spagnola, da cui Picasso prese spunto per la sua celebre tela. Com’è noto, l’enorme dipinto si trova a Madrid, mentre a Guernica ci si deve accontentare di un murales.
Ciò che ci resterà di questa città, che ha subito una veloce ricostruzione, è l’enorme area di parcheggio gratuita in cui passiamo la notte, pasteggiando a base di sardine e radler.
L’indomani è in programma la visita all’isola di Gaztelugatxe (prenotazione gratuita ma obbligatoria!): la prima parte della giornata la riempiamo con un trekking di una decina di chilometri nella Riserva Naturale di Urdaibai. Il percorso in alcuni punti è poco segnalato, ma i paesaggi sono incantevoli e la vista da San Pedro Atxarre merita tutta la sudata.
Dopo un po’ di melina lungo la costa, entriamo nel sito di G. (
ho un bug, non riesco a scriverlo correttamente
): il luogo è incantevole anche per chi non è un appassionato del Trono di Spade (da queste parti è stata girata qualche scena) e a ogni passo della discesa viene da tirare fuori il telefono per immortalare questo spettacolare mix di natura e lavoro dell’uomo. Il tutto esaltato da una giornata splendida.
** Forse le sensazioni sono ampliate dalle due birre e i vari pintxos che mi sono scofanato al bar vista mare prima di entrare nel sito**
Dopo aver rifornito il camper di cibarie, puntiamo la capitale dei Paesi Baschi, Bilbao, dove troviamo uno splendido parcheggio sui monti che la sovrastano, vicino alla teleferica. Luogo ideale per osservare un maestoso tramonto, riusciamo a perderlo per pochi istanti. Da queste parti, a luglio, il sole tramonta tardissimo, dopo le 22.
A Bilbao attribuisco un 7.5, Viola un 7. La città è curata, moderna, ha slanci artistici, però forse manca quel qualcosa che faccia dire wow! C’è da sottolineare che non siamo entrati al Guggenheim Museum (abbiamo solo una giornata, e poi non ci capiremo nulla), ma ci siamo limitati a circumnavigarlo, come fanno in tanti col braccino corto e interesse artistico nullo.
Casco Viejo, Ponte Zubizuri ("quello del Lingotto è meglio"), Basilica di Begona (chiusa, ma le scalinate le abbiamo salite tutte), zona moderna, mercato centrale, viaggio in teleferica con annesso mirador, sono stati i punti toccati durante queste frenetiche ore nella capitale basca. Aupa Athletic e panino col chorizo!

Cantabria e Asturie
Lo spostamento verso Oviedo ci prende una giornata e mezza: per prima cosa facciamo tappa a Playa de Legre, dove il vento e le nuvole ci vietano la gioia di un tuffo in acqua, mentre per la notte veniamo respinti da ben due aree di sosta, e troviamo riposo solo a Cabreces, località ai più sconosciuta, che ricorderò per l’enorme chiesa di colore rosso appoggiata tra i verdissimi colli cantabrici, come fosse un pezzo del presepe troppo grosso.
Santillana del Mar è un borgo medievale carino ma afflitto dalla stessa malattia di Carcassonne, mentre Comillas è una rinomata località marittima nota, tra le altre cose, per il Capriccio di Gaudì, opera progettata dal celebre architetto catalano su commissione privata. Dinnanzi all’ingresso del parco che custodisce il Capriccio, ci viene comunicato che ci sono almeno due ore di attesa: il van è parcheggiato da cani, e non possiamo permetterci di buttare tutto quel tempo. Scusaci Antoni, sarà per la prossima.
Ripariamo sulla Playa de Rodiles, caratterizzata dalla presenza di una fitta pineta di eucalipti, in cui i merenderos spagnoli celebrano le vacanze a colpi di cocomero e cerveza.
La sera giungiamo ad Oviedo, prima di allora conosciuta dal sottoscritto per aver dato i natali a Alonso, e perché confondevo con Orvieto. Girovaghiamo un po’ per la città in cerca del parcheggio migliore dove accamparci: finiamo in un quartiere elegante, sede di un polo universitario, dove, discretamente, ormeggiamo sperando di non destare troppo fastidio ai residenti.

L'indomani lo passiamo tra le stradine della capitale della Asturie: scopriamo una città deliziosa, con un centro storico diffuso, pulito e ricco di installazioni artistiche. La singolarissima Plaza del Fontan, la Catedral de San Salvador, Mafalda seduta su una panchina e l’imperdibile Calle Gascona - la via della sidra - è quello che più ci colpisce di Oviedo. Per pranzo ci abbuffiamo a colpi di fagiolata, innaffiando il tutto con la storica bevanda di mele (Sidreria Las Guelas). Bello il servizio, prezzi modici (3,80 al litro) ma…non credo cercherò il sidro tra gli scaffali dei supermercati a Torino, una volta rientrato.
Nel pomeriggio usciamo dalla città per raggiungere la Playa del Silencio: si lascia il veicolo nel parcheggio a pagamento e si scende la ripida discesina, godendosi il panorama. Spiaggia  di sassi e acqua limpida. La notte la trascorriamo nell’area di sosta di  Tapia de Casariego, località marittima in cui è facile imbattersi in scuole di surf e camperisti a riposo. In una lavanderia a gettoni diamo una ripulita a tutto il nostro guardaroba, e ci godiamo il più bel tramonto della vacanza affettando un melone.
Playa del Silencio

Il 14 Luglio tocchiamo il punto più a Ovest rispetto a casa, poi sarà un lento rientro.
La mattina sfruttiamo la piscina naturale di Tapia, facendo due passi lungomare fino al faro, mentre nel pomeriggio approdiamo a Praia del Catedrais, in Galizia, località caratterizzata da spiagge sormontate da formazioni rocciose che ricordano, appunto, cattedrali. Per accedere alla spiaggia occorre una prenotazione, gratuita. Volendo si può partecipare anche a una visita guidata, sempre gratuita, in cui viene spiegata la formazione e l’evoluzione del manto roccioso. Mentre la guida spagnola ci diletta con nozioni geologiche che, vista la barriera linguistica, oltre che culturale, capisco approssimativamente, rifletto sul fatto che nel Belpaese un servizio del genere –servizi e docce gratuiti, nessuno stabilimento balneare, bagnini a volontà e addirittura una visita guidata gratuita della spiaggia- sarebbe pura utopia.
La visita si conclude in una mezz’oretta, tempo di vedere le rocce in tutta la loro imponenza: in pochi quarti d’ora la marea coprirà tutto, obbligando i bagnanti a tirare su teli e secchielli, e portarsi in salvo.
Sul van siamo dilaniati (dai, non esageriamo…assaliti) dal dubbio: tiriamo fino a Santiago o no? In fondo manca solo un’ora di strada. Tuttavia, che senso a fare tutto di corsa? Inoltre ci piacerebbe raggiungerlo a piedi, un giorno, alla fine del celebre Cammino. Lasciamo stare, no spoiler, puntiamo nuovamente verso le Asturie, nel Parco Nazionale dei Picos de Europa.

I Picos de Europa.
I Picos de Europa sono una catena montuosa sita nel nord della Spagna, a cavallo tra la Cantabria, le Asturie, e la Castiglia y Leon, chiamata così perché erano le prime vette europee visibili per i naviganti che provenivano dalle Americhe. O, almeno, così narra la leggenda.
Cangas del Onis, cittadina tra le più importanti del parco, ci respinge causa assenza di parcheggio. Ci accampiamo più avanti, nell’area di sosta Munigo, isolata da tutto e tutti, indecisi sul come muoverci nei due giorni seguenti. Qui abbiamo due obiettivi: visitare Covadonga (con i laghi) e percorrere la Ruta del Cares, di cui Viola è grande promotrice.

La Santa Grotta
La mattina seguente l’ometto seduto nel gabbiotto turistico ci comunica che i ticket per i pullman sono esauriti (in alta stagione alcune strade sono inaccessibili ai veicoli privati, ma si percorrono solo con trasporto pubblico): non demordiamo e raggiungiamo a piedi Covadonga, dove veniamo accolti dalla Cattedrale e dalla Santa Grotta, chiesetta incastonata nella montagna in cui è sepolto Pelayo, condottiero cristiano che, secondo la leggenda, nel 722 sconfisse i musulmani dando il via alla Reconquista, conclusasi solo nel 1492 con la caduta di Granada. Storia interessante.
Già questi due monumenti sarebbero sufficienti a giustificare un passaggio nei Picos de Europa, ma, non paghi, montiamo su un taxi per i laghi di Covadonga: con 7,50 euro veniamo scarrozzati tra tornanti e vallate, incontrando non di rado mucche e caprette. I laghi, di origine glaciale, sono spettacolari, e la giornata non ammette nuvole in cielo. Unico difetto? La marea di turisti che si riversa in questo luogo. Ma non possiamo essere troppo critici essendo noi parte del problema. Ci dilunghiamo in un giro ad anello che tocca i due laghi e alcuni altopiani, abbozziamo un picnic ma veniamo minacciati da una mamma mucca. Torniamo al van sporchi di fango.
Il giorno dopo ci spostiamo Las Arenas, sempre nel Parco dei Picos, da dove prendiamo un bus (Las Arenas/ Poncebos) che in pochi minuti ci porta all’attacco della Ruta del Cares, un percorso di circa 26 chilometri totali, che si sviluppa tra le gole del fiume Cares. Il cammino, scavato con precisione e fatica dall’uomo ai fianchi della montagna, regala panorami mozzafiato. Il dislivello non è eccessivo, e la continua invasione delle capre (o, forse, la nostra nei loro confronti) rende tutto più allegro. Imperdibile se si passa da queste parti.

Scorcio del Sentiero del Cares
Torniamo via taxi, poiché le corse programmate, già esigue, paiono saltare continuamente. A Las Arenas dormiamo due notti in un enorme parcheggio in cui convivono armoniosamente automobili e camper, il tutto sotto lo sguardo benevolo delle autorità locali. Un fiumiciattolo scorre per il paese, regalando ristoro ai turisti, e le abitazioni rimandano a un’atmosfera di montagna che non ci dispiace affatto.
Durante la notte veniamo continuamente svegliati da un allarme proveniente dal frigo: la batteria è scarica e il suddetto non raffredda più. L’unica soluzione sarebbe quella di riaccendere il motore e partire. Ma sono le tre. Aspettiamo albeggi. L’allarme continua a suonare, ogni mezz’ora, per tutta la notte. E il formaggio in frigo inizia a sciogliersi e a puzzare. Maldición.

Il rientro
Nel viaggio a ritroso, direzione Italia, ci regaliamo una tappa a Lekeitio, paesino marittimo nei Paesi Baschi, colpevolmente saltato all’andata. Anche qui dormiamo in un’area camper ben attrezzata, con la particolarità che il gettone per il carico dell’acqua va recuperato in centro al paese.
Ci godiamo quella che ha l’aria di essere una delle ultime giornate di mare: la spiaggia, di sabbia, è vasta ed attrezzata con servizi e docce; inoltre c’è una sorta di atollo su cui salire per godersi la vista di tutta la baia. La sera ci regaliamo una cena a base di pesce e un gelato dai colori intensi, forse fin troppo. Chimico.
Gli ultimi due giorni della vacanza sono contraddistinti da autostrade, caselli, infiniti chilometri che scorrono, sul cemento e sul navigatore. Ripassiamo da San Sebastian, ancora sotto la pioggia, dove compriamo dei doni per i genitori di Viola: della paprika, una bottiglia di sidra e alcune scatole di aringhe. La sera ci fermiamo a Cap D’Agde, meta dal sapore trasgressivo, dove ci facciamo trasportare dalla folla di turisti lungo la promenade.
Una leggera pioggia, il mattino dopo, ci spinge a riprendere la marcia, ancora chilometri, caselli e cartelli. Sisteron ci regala un kebab gourmet e l’ultima sensazione di vacanza, poi le Alpi si aprono dinnanzi a noi. L’ultima notte la passiamo al Monginevro, in una vasta area camper; la temperatura è fresca, da felpa. Di scorte in frigo non ce ne sono più. Mentre affrontiamo le curve dell’autostrada che ci porta a Torino penso che sicuramente qualche multa l’avremo presa, e che sarà un bel casino mettersi davanti al computer e provare a raccontare questo viaggio.

venerdì 11 aprile 2025

Ma che ci vai a fare a Cipro?

Se chiedessi a cento persone di dirmi cosa gli viene in mente quando nomino Cipro, sono convinto che la quasi totalità risponderebbe con un bel Boh? Lo stesso pensai io quando mio fratello tirò fuori dal cilindro quest’isola come soluzione all’ormai classico viaggio primaverile.
Ma che ci andiamo a fare, a me non ispira proprio. Però considera che si trova a sud, in mezzo al Mediterraneo, sotto la Turchia, insistette lui. Guadagnamo una decina di gradi rispetto alla temperatura italica. Poi costa tutto meno (bufala a cui non seppi rispondere) ed è divisa! Andiamo in uno Stato diviso, la cui Capitale è spartita tra turchi e greci.
Ma non sarà pericoloso?Ma va! E poi, anche lo fosse, meglio! Mettiamo un po’ di pepe al viaggio…Andata. I biglietti aerei costano un’inezia: con 100 euro ci accaparriamo Milano Larnaca a/r, incluso un bagaglio da 10 kg in tre. Ma d’altronde a Cipro a fine marzo chi ci vuole andare?
Mia mamma, reclutata per la spedizione, progetta di grandi nuotate. Vedremo. Prima di partire con il resoconto dei sei giorni in giro per la Cipro greca, però, occorre fare alcune precisazioni:
-  Sull’isola si guida a destra. Retaggio del solito dominio inglese, non sarà una passeggiata guidare per le strade cipriote. A venirci incontro vi è il fatto che le targhe applicate sui veicoli a noleggio sono rosse, a differenza di quelle locali, in modo che l’indigeno si renda conto di avere a che fare con un imbranato alla guida, e di prevedere eventuali intralci.
- Cipro è un’isola relativamente grossa, la terza per estensione nel Mediterraneo dopo la Sicilia e la Sardegna, Perlustrarla tutta sarà impossibile in una settimana scarsa. Utilizzano l’euro nella parte greca, ma è largamente accettato anche in quella turca. Conta circa 1 milione di abitanti, due terzi dei quali nella parte greca, la rimanente parte in quella turca, a nord.
- Come già accennato, l’Isola è divisa in due parti, la linea di separazione è detta Green Line; si può transitare da una parte all’altra mostrando un documento presso gli “hotspot”, per noi italiani basta la carta d’identità. Se si noleggia l’auto nella parte greca, le agenzie ci tengono a sottolineare che non rispondono di eventuali sinistri avuti in terra turca. Quindi , qualora si volesse viaggiare nella parte turca con l’auto a noleggio, o si stipula un’altra assicurazione o si spera che non capiti nulla. Noi, prudentemente, scegliamo di entrare nella parte turca solo a piedi, a Nicosia. A fine viaggio, probabilmente, saremo pentiti della scelta. Ma così è andata.

Dintorni di Larnaka
Il viaggio comincia alle due di notte, da Torino, quando carichiamo la Pandina e imbocchiamo l’autostrada direzione a Milano Malpensa. Più che un viaggio è un atto di penitenza. Il decollo è previsto per l’alba, e quando il velivolo si stacca dalla pista di decollo siamo già nel mondo di Orfeo, Ci svegliamo quattro ore dopo, cinque perché lì sono un’ora avanti, regoliamo gli orologi e ci tuffiamo nel caldo ventilato di Larnaca. Via la felpa, ci saranno almeno dieci gradi in più rispetto all’Italia. Sbrighiamo le pratiche per il noleggio dell’auto (Avis, 150 euro per sei giorni), e ci dirigiamo verso il Lago Salato, situato nella periferia di Larnaca, noto per la presenza di fenicotteri rosa e una suggestiva moschea sulle sue sponde. I passi sono pesanti, questa giornata sarà caratterizzata da un profondo stato di catalessi dovuto al molto sonno arretrato, penso mentre veniamo bloccati all’ingresso della moschea. Con i pantaloncini non si entra.Prendiamo l’auto e ci dirigiamo verso est, verso Capo Greco. Prima di uscire da Agia Napa ci perdiamo tra le statue del Parco delle Sculture, gratuito e straniante, e prendiamo confidenza con la guida a destra. Quando incrociamo altri veicoli con la targa rossa si innesca un simpatico balletto: destra o sinistra, indecisione, grattate di frizione, veicolo spento. Ridiamo.

Il cristo panteocratore

Capo Greco è un parco naturale che si estende su un promontorio, con strade che da asfaltate diventano sterrate, arrivano fino a delle formazioni rocciose che si tuffano in mare. Lo facciamo anche noi, il tuffo in mare: l’acqua è gelata ma ci desta un minimo dal torpore. Cerchiamo invano uno scoglio particolarmente fotografabile che si trova su varie guide, Sembra si sia smaterializzato. Dopo l’ennesimo trekking ci arrendiamo e puntiamo alla periferia di Larnaca, dove ci attende un caseggiato moderno e bianco, disposto su due piani nella Fat CowApartament. L’alloggio è spazioso e dotato di tutti i confort, a tema Lego. 5 stelle strameritate.Prima di giungere sull’estremità orientale della punta, ci fermiamo ad Agia Napa, una cittadina turistica in attesa dell’inizio della stagione estiva, dove acquistiamo un pranzo frugale che gustiamo all’ombra del secolare sicomoro piantato all’ingresso del Monastero. Chiuso per ristrutturazione.

Nicosia
La mattina seguente lasciamo Larnaca e puntiamo la Capitale dell’isola, Nicosia.Prima, però, una breve sosta a Lympia, dove c’è una simpatica scalinata colorata in cui fare alcune foto. Fermarsi può essere una buona idea se si è di passaggio, ma non consiglierei di allungare apposta per vederla.A Nicosia ho prenotato tre posti letto in una camerata di un ostello, un po’ perché le case economiche nel cuore della città scarseggiano, un po’ per continuare a sentirmi giovane nonostante aver scavallato i trenta da un pezzo.
La scelta ricade sul Nex Hostel, e si rivela azzeccata perché, oltre ad essere a un quarto d’ora a piedi al centro di Nicosia, offre un parcheggio sotterraneo per gli ospiti. Lasciato al sicuro il bolide, ci immergiamo nella capitale divisa. Una città relativamente piccola (116mila abitanti), piuttosto moderna, che ai nostri occhi appare ordinata e pulita.
Sulle facciate dei muri e dai balconi garriscono orgogliose le bandiere greche, a ricordare costantemente l’appartenenza di questa parte i città al popolo ellenico. Costeggiamo le mura veneziane partendo dalla Porta di Famagosta, saliamo sulla torre di Nicosia da cui osserviamo l’imponente bandiera turca incisa sui fianchi del monte Pentadaktylos, entriamo nella maestosa cattedrale ortodossa, percorriamo Ledra Street fino al confine con la parte turca. Lì ci prendiamo un’oretta per camminare lungo la barriera, fatta di barili, lastre e filo spinato. Ogni tanto una guardiola, spesso deserta. Spingiamo l’occhio oltre la recinzione, dove regna la “buffer zone”, uno spazio largo una trentina di metri che fa da cuscinetto, in cui gli edifici sono rimasti abbandonati dal periodo dell’avanzata turca, 1974.

La Moschea nel caravanserraglio
Varchiamo il check point con l’intento di mangiare nella parte turca. Gli impiegati dietro al bancone scannerizzano annoiatamente il documento dei turisti che fanno avanti e indietro tra le due anime della città. Pensavamo di respirare maggiore tensione nelle zone di confine, invece a tratti pare più una questione turistica.La Nicosia turca ricalca quella greca, ma con alcune differenze: i piccoli negozietti di souvenir visti in precedenza hanno le sembianze dei tipici bazar, l’insistenza dei commercianti nel vendere capi d’abbigliamento contraffatti e le proposte culinarie a base di baklava e kebab tingono di turco quella porzione di città.Mangiamo un piatto kebab, entriamo nei due caravanserragli, il primo dei quali, più ampio, presenta vari negozietti all’interno del loggiato e una moschea al centro di esso. Mia mamma riesce a perdere lo zainetto, se ne accorge un’ora dopo, ma lo ritrova nello stesso punto in cui l’aveva lasciato. Mio fratello compra un paio di pantaloni Adidas, io  mi accontento di un caffè greco, che poi è uguale a quello turco, ma meglio non dirlo.Passeggiamo ancora un po’ per il cuore di Nicosia, proviamo ad entrare in una moschea senza successo, ci soffermiamo su alcuni dettagli che rendono unica questa città, e poi i gatti sono ovunque. Torniamo nell’ostello per farci una doccia. Conosciamo qualche anima errante, alcuni sono di passaggio, un tizio italiano riferisce di vivere da mesi qui dentro, quasi ad indicarci il segreto della felicità. Mio fratello scova un delizioso ristorante per cena (Piatsa Gourounaki), ci coccolano con moussaka, formaggi di capra, olive, pita e altre delizie greche, dolce e ouzo.
Mia mamma riesce a farsi fischiare da un vigile a causa di una foto da un punto vietato. La città è semideserta, l’alta stagione qui inizia ad aprile, diceva qualcuno in ostello.La notte verrà ricordata per il fragoroso russare di un signore nella nostra camera. Dopo un’ora abbondante cado sfinito sotto i suoi colpi.

Edro III

I monti Troodos.
Visto che abbiamo abbandonato l’idea di esplorare la parte turca dell’isola, proviamo almeno a costeggiare per un po’ la linea di confine tra le due parti con la macchina, sempre rimanendo in terra greca. A un certo punto ci fermiamo lungo un check- point perso nel nulla, indecisi se varcare o meno il confine; il coraggio viene meno, e decidiamo di seguire l’itinerario prestabilito, verso i monti Troodos.
Quest’area del paese, secondo le guide turistiche, dovrebbe essere caratterizzata da vigneti alternati a deliziosi paesini. Noi vediamo poco di entrambi.
Puntiamo il monte Olimpo, non quello famoso che si trova in Grecia, ma comunque la vetta più alta di Cipro, a cui non si può accedere poiché occupata da una base militare. Pochi metri prima di arrivare nell’area interdetta, però, parte un sentiero (di Artemide) che costeggia la cima, regalando viste eccezionali sul mare. O almeno, così avevamo letto su qualche sito specializzato. Il sentiero è lungo circa 7 km, ben segnalato, con dislivello praticamente nullo: al km 3.5 veniamo colti da una pioggerellina sempre più insistente che, intorno al km 6, diventa neve! Concludiamo il percorso correndo, ci buttiamo in macchina completamente fradici: mai avremmo pensato di trovare la neve a marzo a Cipro!
Intirizziti e con l’auto che timidamente si muove nella bufera puntiamo al Monastero di Kykkos. Nonostante i 40 minuti di macchina non riusciamo a scrollarci di dosso la pioggia, che come per Fantozzi, ci segue senza sosta. Imbocchiamo un paio di stradine con l’obiettivo di cercare un posto riparato dove mangiare; miracolosamente, a pochi metri dal Monastero, scoviamo un gabbiotto dotato di lavandino e bagno, e, come disperati, consumiamo pane, noci e sardine.
Percorriamo le logge infinite, le cui pareti sono decorate da centinaia di dipinti e mosaici biblici. Tutto profuma di nuovo. Entriamo in una chiesa ricoperta d’oro.
Mia mamma chiede a un sacerdote se avrebbero ospitalità per la notte. Le dicono di si. Abbiamo già la casa prenotata, le ricordiamo. Sarà il suo più grade rimpianto della vacanza.

Visitiamo ance il museo interno al Monastero (ingresso 5 euro), poi, sazi di tanta spiritualità, montiamo sulla Kia direzione Omodos.
Questo paesino, caldamente consigliato da molte guide, sotto la pioggia perde gran parte del suo fascino, che già di per se non ci sembra irresistibile. Percorriamo la piazza centrale, in rifacimento, entriamo nel monastero della cittadina, carino ma mai quanto quello visto in precedenza, compriamo una forma di arkatena, un pane dolce tipico del luogo, con cui sfamiamo noi e alcuni gatti locali.
Il sole sta calando sempre più velocemente quando decidiamo di fare un’ ultima puntata: le cascate di Millomeris.
Raggiungiamo la vicina Pano Patres, da cui parte il sentiero per le cascate. Costeggiamo un fiumiciattolo e quasi corriamo in questo bosco per evitare d’esser sopraffatti dalle tenebre. Con il cuore in gola raggiungiamo le cascate di Millomeris, in un sito che potrebbe essere turistico in alta stagione (ad aprile, è già stato detto!), ma ci si presenta fascinosamente trascurato. Selfie d’ordinanza e via, nella boscaglia. C’è  raggiungere l’auto prima di essere attaccati da qualche belva cipriota.
Arriviamo nella casetta, Ayios Nicolaos River Park, che sono quasi le 20. Fuori è buio, e la pioggia si è addirittura intensificata. Il proprietario di casa ci illustra tutti i punti imperdibili dei monti Troodos: li abbiamo già visti tutti. L’indomani possiamo tornare verso il mare.Verso Pafo.

La costa Occidentale.
Le temperature sono decisamente più basse rispetto al primo giorno, tuttavia, man mano che ci avviciniamo verso la costa, il sole torna a splendere sulla nostra vacanza.
La prima tappa è lo Scoglio di Afrodite; scintillante e maestoso si offre alla nostra vista, senza nulla chiedere in cambio. Questo è uno dei punti che stiamo notando e che noteremo di Cipro: le attrazioni turistiche spesso sono gratuite o veramente economiche. Altro che le rapine senza passamontagna di certe località più a nord.
Il Monastero di Kykkos è quanto di più bello si possa trovare nella regione dei Monti Troodos. Imponente e prezioso, i nuvoloni neri gli regalano un aria severa, e lo liberano dai molti turisti che, sicuramente, lo infestano durante le giornate di sole. In tarda mattinata giungiamo a Pafo, città di riferimento della Cipro Occidentale: con i suoi due siti archeologici, quello di Nea Pafhos e Le Tombe dei Re, facciamo un’abbuffata di colonne, mosaici, archi, anfiteatri, tombe scavate nella roccia, capitelli e piante di antiche abitazioni cipriote.
Lo scenario, in entrambi i luoghi, è estremamente suggestivo: ci troviamo sul mare, la primavera sta esplodendo, e l’occhio gode di fronte a questo meraviglioso mix storico-naturalistico.
Lo scenario, in entrambi i luoghi, è estremamente suggestivo: ci troviamo sul mare, la primavera sta esplodendo, e l’occhio gode di fronte a questo meraviglioso mix storico-naturalistico.
Lo scenario, in entrambi i luoghi, è estremamente suggestivo: ci troviamo sul mare, la primavera sta esplodendo, e l’occhio gode di fronte a questo meraviglioso mix storico-naturalistico.

faro di Pafo
Ci caliamo in una catacomba, segnalata da un albero addobbato con stracci di lenzuola bianche; mia mamma e Dario corrono per vedere il tramonto, io prendo fiato su un pontile lungo mare. Non lo vedo, ma non credo lo segnerò tra i grandi rimpianti della vita. Villa Libellula, situata nella parte alta di Pafo, sarà la nostra casa per le ultime due notti: con meno di cento euro godiamo di una casetta disposta su due piani, che odora di vernice fresca e relax. Pranziamo con un gyros ed un caffe greco del Mc Donald’s; il pomeriggio è dedicato alle Tombe dei Re, che non custodiscono corpi di reali, ma va bene lo stesso.Ci caliamo in una catacomba, segnalata da un albero addobbato con stracci di lenzuola bianche; mia mamma e Dario corrono per vedere il tramonto, io prendo fiato su un pontile lungo mare. Non lo vedo, ma non credo lo segnerò tra i grandi rimpianti della vita. Villa Libellula, situata nella parte alta di Pafo, sarà la nostra casa per le ultime due notti: con meno di cento euro godiamo di una casetta disposta su due piani, che odora di vernice fresca e relax. Dal terrazzino si vede il mare. Meglio di così non potremmo chiedere.Verso la Penisola di Akamas.
L’ultimo giorno –intero- è dedicato al punto più a Nordovest dell’isola: Akamas.
Questa penisola non si raggiunge facilmente in auto: a un certo punto o si rischia di forare percorrendo strade sterrate, o si prosegue a piedi. Ma ci arriveremo.
Prima di raggiungere Akamas ci fermiamo in un paio di spiagge segnalate dalle guide, ovviamente deserte, e fotografiamo il relitto dell’imbarcazione Edro III, una nave arenatasi nel 2011 lungo le coste cipriote, bonificata e lascia lì per la gioia dei turisti che, come noi, si fermano a immortalare questo Titanic in miniatura.
Per la cronaca, tutti i nove marinai presenti sull’imbarcazione al momento dell’incidente furono tratti in salvo.
Giunti nei pressi dei Bagni di Afrodite - una pozza d’acqua scavata in una roccia sormontata alberi secolari, nulla di esaltante - iniziamo a piedi un trail lungo mare veramente spettacolare, che ci conduce alla spiaggia Blue Lagoon e all’insenatura Fontana Amorosa. Per i più pigri, questo percorso può essere fatto anche a bordo di una jeep, ma si tratta di una camminata pianeggiante, estremamente piacevole, lunga una manciata di chilometri. Il clima è perfetto, e le diverse tonalità di blu del mare si susseguono senza sosta. Lungo il sentiero incontriamo varie caprette che brulicano incuranti l’erba, e alla fine della nostra camminata proviamo a prendere il sole in una spiaggetta stranamente sporca.Rientrando a casa osserviamo il tramonto da una località imprecisata della costa, ci fermiamo in un supermercato dove acquistiamo delle pizze surgelate, esaudendo un desiderio di mio fratello. La scelta si rivela pessima: le pizze sono piccole e terribili. Ma d’altronde che senso ha sfamarsi con delle pizze surgelate a Cipro? Fortuna che hanno inventato la birra, buona ovunque, se gelata.
Pranziamo con un gyros ed un caffe greco del Mc Donald’s; il pomeriggio è dedicato alle Tombe dei Re, che non custodiscono corpi di reali, ma va bene lo stesso.
Un faro si staglia tra il verde dei prati, il giallo dei fiori ed il blu del mare. Pafo città, che, vista superficialmente, pare un agglomerato moderno di case ad uso e consumo dei turisti, si caratterizza per una lunghissima passeggiata lungo mare, un bastione e poco altro.Dal terrazzino si vede il mare. Meglio di così non potremmo chiedere.

Il Rientro.
Il tragitto verso Larnaca, dove abbiamo il volo di ritorno, è costellato di parecchie potenziali tappe. Scegliamo Limassol, o meglio, il suo Parco Archeologico. Qui troviamo parecchio turismo, un anfiteatro che si affaccia sul mare e una mamma particolarmente annoiata da troppa cultura. Meglio farsi un bagno; l’abbiamo fatto il primo giorno, ci proviamo anche l’ultimo. Il clima è soleggiato ma non invoglia al tuffo selvaggio. Nonostante ciò individuiamo una spiaggetta a metà strada tra Limassol e Larnaca dove prendiamo qualche timido raggio di sole e ci tuffiamo in acqua.
A Larnaca mangiamo un piattone di fish and chips, e, di fretta, collezioniamo gli ultimi scatti della nostra vacanza cipriota: la Chiesa di San Lazzaro, la Moschea di Sultan Tekke, il porticciolo con il mitico Leone di San Marco, poi via verso l’aeroporto. Pieno e consegna chiavi. Abbiamo guidato una settimana in un paese in cui la guida è a destra senza fare danni, e la cosa curiosa è che dopo una giornata il cambio viene abbastanza automatico.
Dopo quattro ore, e un giro al contrario di lancette atterriamo a Milano. Piove e ci sono almeno 5-6 gradi in meno. La primavera quest’anno la viviamo due volte.
Dario si dimentica lo zaino nel retro dell’auto, se ne accorge quando siamo ormai nell’area del check-in dell’aeroporto, corre a recuperarlo. Ce la fa.
Dopo quattro ore, e un giro al contrario di lancette atterriamo a Milano. Piove e ci sono almeno 5-6 gradi in meno. La primavera quest’anno la viviamo due volte.